oncologia

Bloccare le terapie che fanno peggio della malattia: premio
USA a giovane ricercatrice IOR

Martedì 28 settembre 2021 circa 6 minuti di lettura In deutscher Sprache

Assegnati 150’000 dollari all’ematologa Adalgisa Condoluci dall’American Society of Hematology per nuovi studi sulla biopsia liquida, che consente di personalizzare le cure, riducendo la tossicità
di Michela Perrone

«Si chiama mortalità correlata al trattamento e riguarda quei decessi purtroppo legati alla terapia e non alla malattia». Adalgisa Condoluci spiega così uno degli aspetti paradossali di alcuni tumori che possono essere curati, ma per i quali si possono avere complicanze (anche mortali) a distanza di anni per via della terapia assunta.
Condoluci è una giovane ematologa all’Istituto Oncologico della Svizzera italiana (IOSI) presso l’Ente ospedaliero cantonale e dottoranda allo IOR, l’istituto Oncologico di Ricerca, sempre a Bellinzona. Dal 2016 studia le malattie linfoproliferative e in particolare il linfoma di Hodgkin, un tumore che si origina dai linfociti B, un tipo di globuli bianchi. La ricercatrice ha recentemente ottenuto un prestigioso riconoscimento dall’American Society of Hematology (ASH), la più importante associazione al mondo nel campo dell’ematologia, che le consentirà di condurre un nuovo studio su come ridurre la tossicità delle terapie utilizzate proprio per il linfoma di Hodgkin. Il premio - ASH Global Research Award - viene assegnato ogni anno a giovani ricercatori al di fuori degli Stati Uniti e del Canada per finanziare, appunto, i loro progetti.

VERSO LA PERSONALIZZAZIONE DEL TRATTAMENTO - Il linfoma di Hodgkin è una patologia particolarmente aggressiva che colpisce soprattutto persone giovani, tra i 15 e i 35 anni. Il trattamento ad oggi più utilizzato è una combinazione di chemio e radioterapia. Oggi i tassi di sopravvivenza con una buona qualità di vita sono elevati (guarisce circa l’80% dei pazienti), ma la terapia utilizzata per trattare questa forma tumorale presenta una tossicità piuttosto alta, che può poi lasciare conseguenze, in un certo numero di pazienti, anche durante gli anni successivi.

Guarda la gallery Guarda la gallery Foto di Alfio Tommasini Guarda la gallery (3 foto)

Condoluci utilizzerà i 150.000 dollari del premio per realizzare uno studio multicentrico a livello europeo e capire se una tecnica innovativa e ancora in parte sperimentale, la biopsia liquida (cioè un prelievo di sangue che permette, attraverso una complessa analisi, di ottenere l’identikit genetico del tumore), possa avere un ruolo nel determinare il trattamento nei pazienti con linfoma di Hodgkin in stadio precoce. Predisporre un trattamento molto personalizzato permetterebbe infatti, oltre a migliorare ulteriormente le percentuali di guarigione, di evitare trattamenti non necessari, riducendo quindi gli effetti collaterali a breve e a lungo termine legati alla terapia.
«La biopsia liquida consente di misurare la quota di malattia circolante – spiega la ricercatrice. – Quando le cellule tumorali muoiono, rilasciano in circolo il loro contenuto, che possiamo intercettare: si parla di DNA tumorale circolante e potrebbe aiutarci a predire chi risponderà bene alla terapia e chi invece necessiterà di un trattamento più lungo o aggressivo. Oggi la diagnosi del tumore avviene, invece, attraverso una biopsia solida: si preleva cioè un linfonodo – continua Condoluci, – dopodiché si sottopone il paziente alla chemioterapia e successivamente alla radioterapia, in base alle caratteristiche delle sue cellule tumorali (esaminate nel dettaglio grazie alla biopsia) e alla estensione della malattia (la cosiddetta stadiazione, misurata attraverso esami radiologici). Le tecniche per eseguire una biopsia solida sono spesso invasive e non forniscono alcuni dati che invece arrivano dalle biopsie liquide. La massima precisione è importante perché, sebbene negli ultimi anni si siano compiuti numerosi passi in  avanti, entrambi questi trattamenti (la chemioterapia e la radioterapia) non colpiscono solo le cellule tumorali, ma possono danneggiare anche quelle sane». Così può succedere che, se il linfonodo malato si trova nel collo, si nuoccia anche alla tiroide, oppure ci siano complicanze cardiache o polmonari, se il linfonodo è nel torace.
«Oggi - dice Adalgisa Condoluci - oltre alla stadiazione iniziale, che è il punto di partenza, possiamo controllare in modo dinamico come procede il trattamento, per esempio con la PET, una tecnica che permette di capire, tramite una sostanza lievemente radioattiva iniettata nel sangue del paziente, se ci sono ancora aggregati di cellule tumorali nell’organismo. Sappiamo che si tratta di un indicatore affidabile dopo soli due cicli di chemio». In questo modo è possibile capire come il corpo sta reagendo e valutare l’opportunità di combinare la chemio alla radioterapia». 

L’UTILITÀ DELLA BIOPSIA LIQUIDA - In questo contesto potrebbe essere vantaggioso utilizzare, come dicevamo, anche la biopsia liquida, che ad oggi si usa unicamente negli studi clinici per i pazienti affetti da linfoma: «Una delle ipotesi dello studio - spiega Concoluci - è proprio misurarne la validità come strumento complementare alle indagini radiologiche per modificare la strategia terapeutica in maniera dinamica nel corso del trattamento». Questo strumento permetterebbe inoltre di analizzare tutte le caratteristiche del tumore e non soltanto quelle contenute nel campione di tessuto prelevato.
«È una bella sfida - sorride la ricercatrice - ma è un progetto in cui credo molto: da quando sono arrivata in Ticino, nel 2016, mi occupo di malattie linfoproliferative e non tornerei più indietro».
Origini calabresi, ha studiato Medicina a Roma prima di trasferirsi in Svizzera per specializzarsi in chirurgia toracica. Dopo l’incontro con il gruppo di Davide Rossi, però, ha deciso che l’Ematologia sarebbe stata la sua strada: «Quest’anno - racconta - sono stata ammessa alla Scuola di dottorato in Biologia del cancro e Oncologia dell’Università della Svizzera italiana, per approfondire la parte di ricerca».
Il premio della Società americana di Ematologia è giunto inaspettato: «Sapevo di aver superato la prima scrematura e avevo inviato il materiale aggiuntivo che mi era stato richiesto. Tuttavia, quando è arrivata la comunicazione è stata una bella sorpresa!» E parte del successo potrebbe essere imputabile a un’attitudine coltivata fin da piccola: «Sono una musicista, ho frequentato il Conservatorio e suono il pianoforte e l’oboe. Credo sia importante coltivare questo tipo di interesse, perché ti permette uno sguardo originale sulle cose. Proprio come nella ricerca».
Condoluci è in Ticino da cinque anni e di questo pezzo di Svizzera ama il fatto che «qui ogni idea si discuta tra pari, indipendentemente da chi l’ha proposta. Questo è molto stimolante, perché aumenta la fiducia in se stessi e la volontà di andare avanti. Per quanto riguarda la mia esperienza, non ho mai visto i miei superiori trattare qualcuno in modo diverso, in base all’età o al genere».