oncologia

Materiali “rigeneranti” per riparare le ossa dei bambini con un tumore

Lunedì 17 maggio 2021 circa 6 minuti di lettura In deutscher Sprache

Studi innovativi alla IBI SA di Mezzovico, sostenuta dai fondi pubblici di TiVenture. Ne parliamo con  Giuseppe Perale, professore titolare alla Facoltà di scienze biomediche dell’USI e cofondatore dell’azienda
di Paolo Rossi Castelli

Tutto è nato in un pub di Londra, nel 2007, durante una partita di calcio proiettata su un grande schermo. Fra la folla urlante, c’erano anche due giovani ricercatori italiani: Giuseppe Perale, veneziano, con un contratto da post-doc (così viene definito chi lavora dopo avere ottenuto il dottorato di ricerca) al prestigioso Imperial College della capitale inglese; e Gianni Pertici, pisano, dottorando nell’altrettanto prestigioso King’s College. Tutti e due appassionati ed esperti di biomateriali, cioè di materiali che possono essere usati a contatto con l’organismo, senza provocare rigetto. «Mentre in quel pub scorrevano le immagini della partita - ricorda Perale - ci siamo chiesti: cosa faremo dopo questa esperienza in Gran Bretagna? La risposta è venuta subito, spontanea (anche se un po’ incosciente): “Creiamo un’azienda che si occupi di biomateriali innovativi!” Così è successo veramente. Quando siamo tornati in Svizzera, abbiamo rilevato una piccola società che già esisteva, l’abbiamo ricapitalizzata e poi trasformata, entrando nel mondo della rigenerazione ossea, un settore che ancora offriva ampi spazi per nuove iniziative. Anche il nome è cambiato, diventando IBI SA, e la nostra avventura imprenditoriale è partita davvero nell’autunno 2011». 

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Pertici è diventato l’amministratore delegato, Perale il direttore scientifico e tecnico. Nel 2012 sono arrivati i primi investitori e anche le necessarie certificazioni europee: l’azienda ha iniziato un cammino che l’ha portata a vendere i suoi prodotti in una trentina di Paesi del mondo, nonostante, negli ultimi mesi, la crisi legata alla pandemia, che ha reso difficilissimo tutto. «Comunque sia - dice Perale - l’azienda cresce con un ritmo a due cifre piene».

Ma cosa fa esattamente la IBI (questa sigla significa Industrie Biomediche Insubri), che ha la sede a Mezzovico? «Creiamo materiali in grado di supportare la ricrescita del tessuto osseo - spiega Perale, che è anche professore titolare alla Facoltà di Scienze biomediche dell’Università della Svizzera italiana. - Abbiamo prodotti standard, che vengono utilizzati su larga scala dai chirurghi ortopedici e dai dentisti, e altri che invece vengono forniti “su misura”. Questi ultimi, particolarmente avanzati, anche se più di nicchia, sono disegnati per ogni singolo paziente attraverso la collaborazione diretta con importanti ospedali. E i risultati di diversi nostri studi clinici sono stati pubblicati su riviste scientifiche internazionali. In parallelo - aggiunge Perale - continuiamo anche l’attività di sperimentazione, nostra caratteristica imprescindibile, anche se l’emergenza Covid, rallentando l’attività degli ospedali (e degli studi dentistici), ci ha costretto a rivedere in parte i tempi dei nostri piani di sviluppo». La IBI ha ricevuto, nelle fasi iniziali, un finanziamento di TiVenture, il fondo pubblico di venture capital che sostiene in Ticino diverse startup particolarmente innovative. Ma anche altri investitori sono poi entrati nell’azienda. Alla IBI lavorano 18 persone, negli uffici e nel laboratorio di produzione, lungo la Cantonale. 

Il prodotto più innovativo della IBI, ancora in fase di sviluppo, su cui l’équipe di ricerca si è impegnata di più, è un “rigeneratore” delle ossa realizzato per le applicazioni in oncologia pediatrica: in pratica, per ricostruire il tessuto osseo asportato ai bimbi colpiti da tumori, spesso molto aggressivi. «La nostra ambizione - spiega Perale - è quella di produrre un sostituto dell’osso che cresca, poi, insieme al bambino, senza la necessità (come invece adesso avviene quasi sempre) di sottoporre il piccolo paziente a numerose operazioni successive, per “inseguire” l’allungamento naturale dello scheletro. Siamo fra i pochissimi ad avere tentato questa strada, e i risultati preclinici raccolti finora sono molto positivi, mi verrebbe da dire strabilianti. In questo ambito stiamo organizzando i primi studi clinici, basandoci sulla robusta esperienza e sui risultati di una prima sperimentazione con i nostri materiali standard, eseguita con il Centro Traumatologico Ortopedico (CTO) di Torino e con l’ospedale infantile Regina Margherita, sempre nel capoluogo piemontese, che ci stanno dando nettamente ragione». Gli speciali materiali rigeneranti di nuova generazione saranno utilizzati su bambini con tumori aggressivi che possono comportare anche il rischio di amputazione di un arto. «I sarcomi infantili spesso non reagiscono alle terapie classiche - continua Perale - e per questo diventa necessario togliere abbondanti quantità di osso. Noi cerchiamo di ricostruire la parte che manca e forniamo al chirurgo pezzi voluminosi di materiale rigenerante (come se fossero pezzi di Lego), che lui poi adatta durante l’intervento. Nei bambini l’osso cresce a ritmi veloci, ma si espande anche la cavità creata (necessariamente) dal chirurgo. Noi, come dicevo, vogliamo che il materiale rigenerante cresca insieme all’osso, e diventi osso sano».

Com’è possibile? I “mattoncini” di base dei prodotti messi a punto dallo staff di Perale derivano da una matrice ossea bovina, privata di tutti quegli elementi che potrebbero indurre un rigetto, da parte del sistema immunitario. Questa matrice è progettata per essere letteralmente abitata, colonizzata, dalle cellule staminali mesenchimali dell’organismo ricevente. Quando queste cellule arrivano, inducono anche la creazione di vasi sanguigni, “vivificando” la nuova struttura. «È quello che viene definito "remodelling over scaffold”, ovvero rimodellamento su impalcatura - dice Perale. - Dopo due anni la “protesi” ossea è completamente colonizzata dalle cellule dell’organismo, diventando indistinguibile dal resto. È tutto osso vivo, sano e naturale del paziente».

Nell’ambito della ricerca, la IBI ha collaborato anche con il Servizio di Ortopedia e Traumatologia all’Ospedale Regionale di Lugano, diretto da Christian Candrian. L’emergenza-Covid ha scompaginato i piani di tutti, ma è possibile che nuove attività vengano avviate con i laboratori dell’Ente Ospedaliero Cantonale, dove si studia la possibilità di utilizzare le cellule staminali per ricostruire i tessuti danneggiati.

Dicevamo che i materiali rigeneranti prodotti dalla IBI derivano da una matrice ossea bovina. Contengono, però, anche un polimero di sintesi (cioè una grossa molecola costituita da elementi che si ripetono) riassorbibile. Poi c’è il terzo ingrediente: frammenti di collagene trattati in modo particolare. In termine tecnico questi prodotti vengono definiti “xeno-ibridi”. «Molte aziende che competono con noi sono molto più “conservative” - dice Perale. - Noi no, abbiamo voglia di osare nella ricerca, con quel pizzico di coraggio folle che fa la differenza. Abbiamo dimostrato che quello che produciamo funziona molto bene clinicamente. Adesso dobbiamo dimostrare che anche l’aspetto business funziona».

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