NUOVI SCENARI

Come cambiano i meccanismi
della Ricerca in epoca-Covid?
Una "Piattaforma" per svelarlo

Sabato 20 novembre 2021 circa 9 minuti di lettura In deutscher Sprache

Nella Sala Aragonite di Manno l’annuale incontro organizzato dalla Fondazione Epatocentro: un’occasione per riunire i numerosi protagonisti della Salute e della Ricerca in Ticino, e "decidere insieme"
di Paolo Rossi Castelli

Sedersi intorno a un tavolo, tutti insieme, una volta all’anno, e ragionare su temi importanti che attraversano la salute e la società, in Ticino: un cantone ricchissimo di iniziative e di studi, ma quantomai frammentato in numerosi enti e istituzioni (USI, EOC, IRB, IOR, Clinica Luganese, Clinica Sant’Anna, Casse malati, uffici del Medico e del Farmacista cantonale, aziende farmaceutiche e biomedicali, e così via) che stentano a trovare un fronte comune e a “decidere insieme”, insomma ad affrontare con una visione globale i cambiamenti e le sfide. Proprio per superare (o tentare di superare) queste difficoltà è nata nel 2015 la Piattaforma annuale di discussione dell’eccellenza e della sostenibilità del sistema sanitario, per iniziativa della Fondazione Epatocentro Ticino. E il 16 novembre, nella Sala Aragonite a Manno, la Piattaforma ha riunito esperti di vari ambiti, per parlare - in un anno così particolare - di come la pandemia ha cambiato la Ricerca biomedica. Hanno partecipato Giovanni Pedrazzini, decano della facoltà di scienze biomediche dell’Università della Svizzera italiana; il consigliere di Stato Raffaele De Rosa, direttore del Dipartimento della sanità e della socialità; Silvia Panigone, chief operating officer di NLS Pharmaceutics (in collegamento video dagli Stati Uniti); Andreas Cerny, direttore della Fondazione Epatocentro Ticino; Christian Garzoni, direttore sanitario della Clinica Luganese Moncucco; Alessandro Ceschi, direttore della Clinical Trial Unit dell’Ente Ospedaliero Cantonale; Davide Robbiani, direttore dell’Istituto di Ricerca in Biomedicina; Silvia Misiti, direttrice della IBSA Foundation per la ricerca scientifica. È seguita una tavola rotonda moderata da Paolo Galli, caporedattore centrale del Corriere del Ticino.
Dunque, com’è cambiata la Ricerca biomedica (e come sta cambiando) in questo periodo difficile di pandemia? «Se ci riferiamo al nostro territorio - ha commentato il professor Pedrazzini - possiamo dire che l’arrivo del Covid-19 ha fatto crescere e ampliare in modo importante la collaborazione fra gli enti ticinesi impegnati in questo settore. Lo dimostrano, fra l’altro, le tante pubblicazioni firmate in modo "collettivo". Ma la situazione di emergenza, con le misure di lockdown, ha anche ampliato (in Ticino e nel mondo) la platea dei ricercatori che partecipano ai grandi convegni internazionali (momenti di confronto utilissimi), divenuti accessibili anche online. All’ultimo congresso della Società europea di cardiologia, per esempio, organizzato in modo virtuale, si sono collegati ben 100.000 partecipanti, cioè più del triplo, rispetto alle edizioni "in presenza". È infatti intervenuto anche chi, per vari motivi (economici, pratici), non avrebbe potuto partecipare ai congressi classici. Nella tragedia che ha accompagnato la pandemia, questi, almeno, sono alcuni segnali positivi».
Ma non basta. Sono stati accorciati, rispetto al passato, in modo sbalorditivo i tempi necessari per rendere disponibili farmaci efficaci: appena 290 giorni per il vaccino Pfizer! «Ma resta ancora moltissimo da fare - ha continuato Pedrazzini - perché non basta dire: "Dovete vaccinarvi!". In realtà bisogna capire, scoprire in modo più ampio cosa e successo e come si può arginare in modo ancora più efficace la malattia».
La pandemia sta modificando anche la geografia delle aziende impegnate nel settore della ricerca biomedica. Dal 2010 al 2020, quindi prima della pandemia - ha ricordato Silvia Panigone - le grandi aziende farmaceutiche (le cosiddette big pharma) si erano liberate dei rami considerati privi di interesse economico (e la ricerca dei vaccini era uno di questi, per i bassi margini di guadagno che offriva allora). Questi "rami", in alcuni casi sono diventati piccole aziende biotech, con uno spazio abbastanza marginale. Ma dall’anno scorso il ruolo di queste startup si è, invece, ribaltato (e riabilitato), e proprio alcune di loro, come la BioNTech, sono diventate protagoniste assolute nella battaglia contro il coronavirus. 

Guarda la gallery Guarda la gallery Foto di Loreta Daulte Guarda la gallery (3 foto)

GLI ALTRI PROGETTI DELLA FONDAZIONE EPATOCENTRO - Ma facciamo un passo indietro. È stata la Fondazione Epatocentro - dicevamo - a invitare gli esperti ticinesi intorno a un tavolo (la Piattaforma) per discutere su un tema di così forte attualità, e venature complesse. In verità, tali incontri sono soltanto uno dei numerosi eventi e progetti che la Fondazione porta avanti. Anzi, l’impegno preponderante della Fondazione stessa, possiamo dire, è focalizzato sul terreno più "proprio" della ricerca scientifica. «Abbiamo un’intensa attività in questo settore e in quello della Formazione dei medici (e dell’informazione per i pazienti) - conferma Andreas Cerny. - Nel campo della ricerca, ci concentriamo molto sugli studi relativi alle malattie autoimmuni del fegato, per le quali siamo diventati un centro di riferimento in Svizzera. Su queste patologie, rare e complesse, organizziamo ogni due anni anche un congresso internazionale a Lugano». Proprio pochi giorni fa, il 21 ottobre, il New England Journal of Medicine (una delle più importanti riviste scientifiche del mondo dedicate alla medicina) ha pubblicato i risultati di una ricerca a cui ha partecipato anche Benedetta Terziroli, medico ricercatore della Fondazione Epatocentro Ticino. 

Rimanendo sempre nell’ambito internazionale, la Fondazione sta lavorando in collaborazione con il King’s College di Londra e con il laboratorio Synlab, anche per definire sistemi diagnostici più precisi e per individuare le possibili varianti genetiche che alterano il funzionamento dei “trasportatori biliari”. Cosa sono? «Quando il fegato sintetizza la bile (necessaria per digerire i grassi) - spiega Cerny - utilizza, per così dire, tre piccole pompe. Queste micro-strutture possono andare incontro a numerosissime varianti, già alla nascita, e questo influenza, poi, la composizione della bile stessa e può favorire la formazione di calcoli, ma può innescare anche prurito su tutto il corpo, per complessi meccanismi biochimici, o problemi più gravi. Per tale motivo è importante scoprire subito, fin nell’età pediatrica, se qualcosa non funziona bene».

Complessivamente, l’anno scorso la Fondazione Epatocentro ha raccolto 740.000 franchi da diversi enti e istituzioni, e da privati, che hanno consentito di svolgere numerose attività di ricerca, 17 delle quali sono già sfociate nella pubblicazione di lavori scientifici (altre, invece, sono ancora in corso), come pure di realizzare 23 progetti di formazione. “La Fondazione Epatocentro Ticino - ha scritto con parole ricche di soddisfazione il presidente Sebastiano Martinoli nel Rapporto scientifico 2020 - invece di sedersi abbattuta dalle restrizioni dell’epidemia, ha sviluppato una vivace dinamica di ricerca e di progetti innovativi, associando al suo gruppo scientifico università svizzere ed estere, collaborando in maniera fattuale con l’ambiente severamente stravolto ma interessantissimo dal punto di vista infettivologico della Clinica Moncucco. La prova: il lancio della Biobanca COVID-19, dove vengono conservati campioni biologici di pazienti affetti dalla malattia. Una struttura preziosa per cogliere adesso e nel futuro dati ancora sconosciuti su come il coronavirus ci assale e come renderlo meno pericoloso o addirittura innocuo».

LA EPATOCENTRO TICINO SA - La Fondazione opera in stretta collaborazione con la  Epatocentro Ticino SA (un’azienda creata dal professor Cerny e da altri colleghi), ma ha una vita completamente autonoma e “staccata”, come d’altronde prevedono le norme. «La Epatocentro Ticino SA - spiega il professor Cerny - è una società che offre una serie di servizi a medici accreditati. Mette a disposizione, cioè, le infrastrutture (a Lugano, Bellinzona, Locarno, Mendrisio e altre città ancora)  in cui i medici possono lavorare e ricevere i pazienti: devono avere con sé solo un computer portatile... Tutto il resto (ambulatori, attrezzature, laboratorio di analisi, e così via) è gestito dalla Epatocentro Ticino SA». I medici, tutti specialisti nell’ambito delle malattie del fegato e delle vie biliari, non sono dipendenti, ma azionisti della società. «La nostra è una struttura democratica - continua Cerny. - I medici fatturano direttamente alle casse malati e poi retrocedono alla SA una quota, che varia di anno in anno, come rimborso per le infrastrutture messe a loro disposizione, appunto. Non abbiamo l’obiettivo di massimizzare gli utili: ogni nostro medico investe un po’ del suo capitale nella SA e partecipa all’andamento dell’azienda. Se decide di andare via, la sua quota azionaria gli verrà rimborsata. È un modello che ci hanno proposto, fin dall’inizio, i nostri consulenti». Quasi tutti gli specialisti della Epatocentro Ticino SA partecipano, poi, alle attività di ricerca condotte dalla Fondazione Epatocentro Ticino. «La Fondazione - ribadisce Cerny - è nata proprio per questo: gestire la Ricerca e organizzare momenti di Formazione».

Prima di creare la Epatocentro Ticino SA, Cerny e alcuni altri colleghi erano dipendenti della Clinica Luganese Moncucco (e prima ancora Cerny, dal 1999 al 2006, era stato primario di Medicina interna all’Ospedale Civico di Lugano). Poi, di comune accordo con i vertici della Clinica Luganese, nel 2013 il professor Cerny ha deciso di mettersi in proprio, rimanendo nei locali di via Soldino 5 (e pagando, a questo punto, un affitto), ma diventando “protagonista” - come lui dice. 

Gli specialisti del gruppo coordinato da Cerny si occupano di tutte le patologie del fegato (epatiti, colangiti, fegato grasso, cirrosi, tumori e altro ancora), con una particolare attenzione rivolta ai pazienti che devono sottoporsi a un trapianto, o hanno già ricevuto un fegato “nuovo”. «In Svizzera sono soltanto tre le strutture sanitarie in cui vengono eseguiti questi interventi - precisa Cerny: - l’Inselspital di Berna, l’ospedale universitario di Ginevra e quello di Zurigo. Per vari motivi, però, legati soprattutto alla presenza di personale in collegamento costante con i medici ticinesi, alla fine sono quasi sempre Berna e Ginevra le città prescelte da chi vive a sud delle Alpi. Assistiamo i pazienti e i loro familiari in ogni passaggio dell’iter che va dalla diagnosi alla necessità di un fegato nuovo, fino al momento della trasferta e dell’operazione. Attualmente seguiamo un’ottantina di pazienti ticinesi trapiantati e circa dieci in attesa. Abbiamo un ottimo rapporto, comunque, anche con l’Ente Ospedaliero Cantonale, dove lavora il professor Pietro Majno-Hurst, che fino a qualche anno fa faceva parte proprio dell’équipe dei trapianti di fegato a Ginevra. Se necessario coinvolgiamo anche lui (che adesso si occupa soprattutto di patologie oncologiche del fegato e del pancreas) e il suo team nel percorso terapeutico dei pazienti che seguiamo noi all’Epatocentro. L’epatologia, in Ticino, è uno dei settori in cui la collaborazione fra la sanità pubblica e quella privata è più forte».

 

 

Leggi anche: Caccia ai meccanismi “misteriosi” che innescano le epatiti autoimmuni