Giubiasco

Raggi infrarossi e algoritmi: così
è possibile scovare i rifiuti
"sbagliati" nel termovalorizzatore

Venerdì 1 agosto 2025 ca. 7 min. di lettura
Un operatore specializzato, da dietro una grande parete di cristallo, suddivide i rifiuti utilizzando un “ragno” meccanico (foto di Chiara Micci/Garbani)
Un operatore specializzato, da dietro una grande parete di cristallo, suddivide i rifiuti utilizzando un “ragno” meccanico (foto di Chiara Micci/Garbani)
 

Sperimentazione con i sistemi di intelligenza artificiale della startup Jaipur Robotics, che ha la sede nel Tecnopolo di Manno. La spazzatura "fuori norma" può portare al blocco dell’impianto, con danni pesanti
di Elisa Buson

È alto come un palazzo di sette piani, ma dall’autostrada non sembra. Bisogna arrivare proprio davanti al termovalorizzatore di Giubiasco, e alla sua ciminiera, ai rivestimenti lucidi delle sue pareti esterne e alle grandi “bocche” che accolgono durante la giornata l’arrivo incessante di camion carichi di rifiuti, per capire cosa sia realmente questo edificio o, meglio, questo impianto industriale, che brucia (in senso letterale) 180.000 tonnellate di “spazzatura” all’anno, e nello stesso tempo produce - grazie al calore sprigionato - energia elettrica e acqua calda per il teleriscaldamento dei quartieri vicini.

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Il termovalorizzatore ha un che di “distopico” all’esterno, e anche in ampie zone dell’interno, scandite da corridoi di cemento, porte che si aprono solo grazie a badge autorizzati, e spazi con i soffitti alti e lunghissime sequenze di tubi e macchinari per filtrare i fumi. Ma poi, salendo agli ultimi piani, si arriva invece a uno scenario da Divina Commedia, come appariva nelle celebri incisioni di Gustave Doré. Perché ci si affaccia su un’enorme fossa profonda una ventina di metri che raccoglie i rifiuti scaricati di continuo dai camion, e tutt’intorno c’è una luce giallastra che fa assomigliare quegli ammassi a una sorta di vegetazione misteriosa.

Un operatore specializzato, da dietro una grande parete di cristallo, suddivide i rifiuti utilizzando un “ragno” meccanico con sei braccia d’acciaio (comandato tramite una sorta di joystick), li distende e li mescola in maniera omogenea, per fare in modo che la combustione sia poi il più possibile efficiente, quando i rifiuti stessi verranno convogliati nei due forni del termovalorizzatore, che raggiungono la temperatura di circa 850 gradi. Se tutto funziona bene, della “spazzatura” non resterà traccia, a parte una quantità ridotta di cenere e di scorie inerti. Ma per mantenere il suo ciclo regolare il termovalorizzatore non deve venire “disturbato” da rifiuti anomali o pericolosi, che fanno scattare i numerosi sistemi di sicurezza, fino al blocco automatico. 

Conferma l’ingegner Hansjörg Ittig, direttore dell’impianto: «Se arrivano materiali inadeguati, e non riusciamo a distinguerli tempestivamente, si possono verificare problemi seri». Ma come può capitare che rifiuti pericolosi arrivino insieme alla spazzatura “normale”? «Succede, purtroppo, per negligenza - continua Ittig - o a volte per fretta: quando chiude un cantiere, ad esempio, c’è chi butta materiale non idoneo fra i rifiuti, senza seguire le procedure corrette di smaltimento, per accelerare i tempi. Ma accade anche, più semplicemente, che certe persone inseriscano apparecchi elettrici nei normali sacchi dei rifiuti, quando sono esauriti».

Se una delle due linee di incenerimento dei rifiuti si blocca, occorrono circa 24 ore per ripristinarla, e questo significa che 250 tonnellate di spazzatura non vengono smaltite, per quel giorno. E questo è un problema, in una struttura, come quella di Giubiasco, che lavora al 100% delle sue capacità e non ha “margini” liberi.
Perché occorrono 24 ore di stop? «Cinque o sei ore come minimo servono per raffreddare il forno - spiega Ittig. - Poi deve entrare una squadra di tecnici specializzati, proteggendosi con apposite maschere e tute, per recuperare i rifiuti irregolari che avevano provocato il problema (sono necessarie almeno cinque persone per tre o quattro ore: puliscono, rimuovono le scorie, raffreddano con aria e acqua, usano nastri e pale meccaniche. È un lavoro pesante, ma indispensabile). Infine, occorrono da cinque a sette ore per riportare il forno alla temperatura giusta». 

A Giubiasco arrivano tutti i  rifiuti solidi urbani non riciclabili del Canton Ticino e della Mesolcina (mentre plastica, vetro, carta, alluminio - se raccolti a parte - seguono altri percorsi, per il riciclaggio). Vengono portati al termovalorizzatore anche i rifiuti non tossico-nocivi che derivano da attività industriali, cantieri e aziende (questi materiali subiscono un pretrattamento per rimuovere legni, plastiche riciclabili e materiali non adatti alla combustione). A Giubiasco, invece, non arrivano i rifiuti tossici, che vengono smaltiti in apposite strutture della Svizzera tedesca.

Per ridurre il più possibile il rischio di blocco (mediamente, spiega l’ingegner Ittig, sono 4 all’anno questi stop forzati, con alti costi e mancata produzione di energia elettrica e teleriscaldamento), gli impianti sono dotati di numerose telecamere, che vengono continuamente tenute sotto osservazione dai tecnici. Ma dal 2024 è attivo anche un sistema innovativo di monitoraggio, che utilizza l’intelligenza artificiale e permette di riconoscere in tempo reale gli eventuali rifiuti fuori norma, segnalandoli su un monitor agli operatori, che possono rimuoverli tramite il ragno meccanico, prima che finiscano nel forno. Questo metodo è stato messo a punto dalla Jaipur Robotics, una startup con la sede nel Tecnopolo di Manno, che l’anno scorso ha firmato un contratto con l’Azienda cantonale dei rifiuti (l’ente che possiede il termovalorizzatore) per questa sperimentazione. «Insieme alla Jaipur - aggiunge Ittig - stiamo sviluppando un sistema con telecamere anche a raggi infrarossi, per rilevare non solo la forma, ma anche la temperatura degli oggetti anomali. È un aiuto importante per la sicurezza, perché certi materiali “caldi” possono essere soggetti a malfunzionamenti o rischi».

Conferma Ermes Zamboni, 28 anni, co-fondatore della startup insieme al 34enne indiano Nikhil Prakash: «Per la prima volta in Europa abbiamo addestrato un modello di intelligenza artificiale capace di monitorare i rifiuti che vengono scaricati dai camion nella fossa del termovalorizzatore, in modo da inviare avvisi istantanei agli operatori delle gru quando vengono rilevati materiali potenzialmente pericolosi o sospetti. Inoltre, il sistema è in grado di fornire una precisa e completa mappatura del potere calorifico dei rifiuti presenti nell’intero volume della fossa, consentendo agli operatori delle gru di miscelare efficacemente i materiali prima di introdurli nelle camere di combustione. Questa soluzione è la prima nel suo genere in Svizzera e rappresenta un’innovazione pionieristica. I risultati dimostrano che i nostri algoritmi avanzati di visione artificiale permettono di ridurre almeno dell’80% i fermi-macchina imprevisti».

La tecnologia della Jaipur Robotics (premiata nel 2024 con il Grand Prix Möbius Suisse) ha ottenuto la fiducia degli investitori: nel primo round di finanziamento (fase pre-seed) ha raccolto un milione di franchi, con investitore principale TiVentures SA, un’azienda pubblica luganese di “venture capital” posseduta dalla Fondazione Centenario di BancaStato. «Questi finanziamenti ci permetteranno di sviluppare ulteriormente il nostro progetto e di allargare il team con nuove assunzioni» - precisa Zamboni, che quest’anno è stato inserito nell’elenco dei giovani under 30 più innovativi in Italia dalla rivista Forbes, nel settore della tecnologia.

Ma torniamo all’impianto di Giubiasco. Se la lavorazione dei rifiuti procede al meglio, cosa esce poi dalla ciminiera (ben visibile dai vicini quartieri)? «Abbiamo diversi sistemi di filtraggio dei fumi - spiega Ittig: - lavaggi chimici per acidi e metalli pesanti, un catalizzatore per ridurre gli ossidi di azoto, e un filtro a maniche per polveri sottili e microinquinanti. Il sistema è molto sofisticato e garantisce emissioni pulite».
In passato la situazione era molto diversa, e questi impianti (che erano solo inceneritori, e non producevano energia e teleriscaldamento) venivano spesso contestati dalla popolazione, in tutta Europa. «Sì - conferma Ittig. - Trent’anni fa le tecnologie erano differenti. I vecchi impianti avevano solo filtri elettrostatici, poco efficaci. Oggi le norme sono molto più severe, e la tecnologia è completamente cambiata».

 

 

 

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