Tecniche avanzate

Scanner a raggi X per leggere
i misteri della Cappella Brancacci
a Firenze: c’è anche la SUPSI

Lunedì 28 luglio 2025 ca. 6 min. di lettura
La facciata in pietra grezza della chiesa di Santa Maria del Carmine a Firenze, che accoglie al suo interno la Cappella Brancacci (foto dell’agenzia Shutterstock)
La facciata in pietra grezza della chiesa di Santa Maria del Carmine a Firenze, che accoglie al suo interno la Cappella Brancacci (foto dell’agenzia Shutterstock)
 

Tre ricercatori ticinesi coinvolti nel progetto internazionale di restauro che ha permesso di individuare le immagini nascoste sotto gli affreschi della Genesi dipinti da Masolino da Panicale, Masaccio e Filippino Lippi
di Benedetta Bianco

Prati e alberi sullo sfondo, foglie di fico e di melo a coprire le nudità di Adamo ed Eva, e raggi dorati che escono dalla Porta del Paradiso Terrestre: sono gli affascinanti dettagli che impreziosiscono le Scene della Genesi affrescate da Masolino da Panicale, Masaccio e Filippino Lippi nella Cappella Brancacci, all’interno della chiesa di Santa Maria del Carmine a Firenze, tra il 1423 e il 1483. Ma si tratta di dettagli molto "peculiari": sono ormai invisibili. Per vederli emergere dall’oscurità dello sfondo è stato necessario, infatti, applicare le tecnologie di indagine diagnostica più sofisticate attualmente disponibili, e ciò che è emerso ha senz’altro sorpreso i ricercatori che hanno preso parte a questa importante campagna di studi. Tra loro anche tre esperti della Scuola Universitaria della Svizzera Italiana (SUPSI) di Mendrisio: Alberto Felici, docente ricercatore al Dipartimento ambiente, costruzioni e design, Jacopo Gilardi, docente professionista nello stesso dipartimento, ed Elisabeth Manship, ora ricercatrice indipendente attualmente negli Stati Uniti.

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Le analisi sugli affreschi sono state finanziate da Friends of Florence (un’organizzazione con sede a Washngton) e dalla texana Jay Pritzker Foundation, con il coordinamento della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Firenze e del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) italiano, e la partecipazione dell’Università di Firenze e di altri Istituti di ricerca, compresa la SUPSI, come dicevamo.

A portare alla luce il mistero è stata la tecnologia Macro-XRF, uno scanner che permette di esaminare una superficie con un fascio di raggi X in maniera non invasiva, ottenendo mappe degli elementi chimici presenti. In questo caso, a destare curiosità è stato in particolare l’arsenico, rinvenuto in un pigmento chiamato "giallo di orpimento". «L’arsenico si trova in alcuni pigmenti gialli come l’orpimento e il realgar - racconta a Ticino Scienza Alberto Felici. - Non è insolito ritrovare l’orpimento nelle pitture fatte su tavola, ma si pensava che non venisse utilizzato per i dipinti murari, perché è molto sensibile agli agenti atmosferici, risente molto degli effetti dell’umidità» - spiega Felici.
«Ci sono state tante discussioni a questo proposito – aggiunge Elisabeth Manship – perché l’arsenico poteva anche essere semplicemente un’impurità e bisognava escludere altri possibili pigmenti».

Sembra, dunque, che i tre artisti rinascimentali abbiano voluto contravvenire alla regola, ma per quale motivo? Per scoprirlo, i ricercatori svizzeri sono ripartiti dalla pratica e hanno provato a ripercorrere i gesti degli autori. «La scienza ci ha fornito le informazioni ma, per capire davvero le cose, il sistema migliore è fare delle repliche, e sono state eseguite proprio qui, alla SUPSI» - afferma Felici.
«Fare repliche è fondamentale per capire con certezza cosa c’è e cosa non c’è, per studiare le tecniche che sono state utilizzate e ciò che è stato fatto» - precisa Manship. «Non a caso le facciamo fare anche agli studenti durante i nostri corsi – sottolinea Jacopo Gilardi, che è un esperto di pigmenti – proprio per fargli toccare le cose con mano».

I ricercatori hanno quindi steso l’intonaco, creato lo strato di base nero che caratterizza gli affreschi e, infine, sono passati ai pigmenti colorati. Hanno così sperimentato le stesse difficoltà tecniche e le stesse sfide che devono aver incontrato anche Masolino e gli altri due artisti rinascimentali. «Oltre a essere molto velenoso per il suo contenuto di arsenico – evidenzia Gilardi – il giallo di orpimento è un pigmento particolare, ha una consistenza cerosa ed è quindi molto difficile da usare e da applicare. Ci siamo resi conto, perciò, che può essere steso solo in strati molto spessi, e ciò costituisce un’ulteriore fragilità del pigmento». Sembra, quindi, che tutto deponga a sfavore dell’uso del giallo di orpimento, sennonché il colore che si ottiene è in grado di controbilanciare i lati negativi: «Uno dei verdi più belli che si possono ottenere – conferma Gilardi – è dato proprio dalla miscela dell’orpimento con altri pigmenti blu».

Ecco, dunque, perché è stato scelto per dare vita ai dettagli "vegetali": oltre alle foglie apposte su Adamo ed Eva, le analisi hanno evidenziato anche la presenza di una fitta vegetazione alle loro spalle e di un prato lussureggiante nelle Storie della Genesi, interventi che non sono riconducibili al 1642 come inizialmente ipotizzato, quando vennero apportate modifiche di natura censoria alle opere. Lo stesso si può dire dei raggi disegnati da Masaccio per accentuare l’effetto della luce proveniente dalla Porta dell’Eden da cui Adamo ed Eva sono cacciati, che erano originariamente avvolti anche da una nube anch’essa dorata, emblema della luce divina.

Quelle tonalità, però, purtroppo ora non sono più visibili. «Ora non vediamo più niente – afferma Gilardi - perché l’orpimento si è degradato ed è penetrato negli strati sottostanti. Infatti, l’arsenico non è stato trovato sopra la base nera, ma al suo interno». Ma lo studio non è affatto concluso: le repliche realizzate alla SUPSI sono ora a Firenze, dove subiranno cicli di invecchiamento per vedere cosa succede al pigmento e come si comporta nel tempo. «È stato un lavoro interessantissimo, che ci ha permesso di capire come gli artisti coprivano il fondo nero, e ha sicuramente aperto gli occhi a molti restauratori» - dice ancora Gilardi. «Si è aperta una nuova frontiera – aggiunge Felici. – La stessa tecnica si potrà ora applicare ad altri cicli pittorici, e sono convinto che le sorprese non saranno poche».

La chiesa di Santa Maria del Carmine che ospita la cappella e i suoi preziosi dipinti è stata costruita nel 1268 come parte di un convento carmelitano ancora oggi esistente ed è stata successivamente ampliata diverse volte, ma di quell’epoca restano visibili solo pochi resti. La sua storia è stata segnata dal devastante incendio del 1771, che distrusse quasi completamente l’interno e che richiese un completo rifacimento. La fortuna volle, però, che la Cappella Brancacci, insieme alla sagrestia e a una seconda cappella di epoca successiva, non venisse toccata dalle fiamme. Gli affreschi, considerati il punto d’inizio del nuovo stile rinascimentale in pittura, vennero eseguiti per la maggior parte in collaborazione da Masolino e Masaccio, e furono poi completati successivamente da Filippino Lippi.