NUOVI STUDI

Ripartono gli scavi
sul Monte San Giorgio,
scrigno di paleo-tesori

Martedì 17 giugno 2025 ca. 7 min. di lettura
Fabio Magnani, paleontologo del Museo cantonale di storia naturale (foto di Chiara Micci/Garbani)
Fabio Magnani, paleontologo del Museo cantonale di storia naturale (foto di Chiara Micci/Garbani)

L’attività dei paleontologi, coordinata dal Museo cantonale di storia naturale, riprenderà il 7 luglio. L’area, patrimonio dell’Unesco, è ricchissima di fossili di animali e piante, risalenti a milioni di anni fa 
di Simone Pengue

Il Monte San Giorgio è pronto a raccontarci un’altra storia sul nostro passato. Riapriranno tra poche settimane, il 7 luglio 2025, gli scavi paleontologici in questo sito patrimonio UNESCO, alla ricerca di nuovi fossili di animali e piante risalenti a centinaia di milioni di anni fa, molto prima che comparissero gli esseri umani. Gli scavi, diretti dal Museo cantonale di storia naturale di Lugano, esploreranno il “livello di Sceltrich” (questo il termine tecnico), situato nell’omonima valle, a circa 750 metri di altitudine, scoperto solamente nel 2010 e ancora ricco di segreti da svelare. Per gli appassionati e i curiosi sarà possibile visitare gli scavi nelle giornate di porte aperte dell’1 e 2 agosto, organizzate in collaborazione con il Museo dei fossili di Meride e la Fondazione del Monte San Giorgio.

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La morfologia particolare del sito paleontologico del Monte San Giorgio consente di assegnare a ogni ritrovamento, posizionato in un diverso “livello fossilifero” (cioè in un particolare strato di roccia), una diversa età. In questo modo è possibile ripercorrere l’evoluzione degli organismi negli anni per capire cosa sia accaduto dopo le grandi estinzioni di massa e quali specie siano sopravvissute. I fossili di rettili, piante, ma soprattutto di pesci e crostacei ritrovati nel livello di Sceltrich risalgono a circa 240 milioni di anni fa e appartengono a un periodo geologico chiamato Triassico Medio. Gli ultimi ritrovamenti di rettili provenienti da questo sito di scavo sono stati recentemente descritti in un articolo scientifico pubblicato sulla Rivista Italiana di Paleontologia e Stratigrafia, volta ad offrire una prospettiva completa e chiara a chi è del settore. «Il livello fossilifero di Sceltrich è stato scoperto solo una decina di anni fa, quindi molti dei ritrovamenti sono "cose nuove" per la scienza – commenta il paleontologo del Museo cantonale di storia naturale Fabio Magnani. - La speranza delle nuove campagne di scavi è sempre quella di riuscire a trovare un fossile eccezionale ignoto alla comunità scientifica». 

Un altro livello ampiamente studiato negli ultimi anni è quello chiamato Kalkschieferzone, risalente a 239 milioni di anni fa e ricchissimo di fossili di insetti. Fabio Magnani racconta entusiasticamente che «è davvero raro trovare insetti interi. Di solito l’ala è una delle poche cose che rimane conservata, perché il resto dell’insetto, spesso, viene mangiato dai pesci. Per esempio, un insetto di un genere ora estinto del gruppo dei neurotteri (simile alle attuali effimere, ndr), era finora conosciuto solo per l’ala, ma noi abbiamo trovato il primo esemplare completo al mondo, incredibile». In quel momento, la roccia che adesso forma il monte costituiva il fondale di una baia marina situata all’altezza dei tropici nell’oceano Tetide, quando ancora la Terra era costituita da un unico supercontinente, la Pangea. Sui fondali di questa laguna dall’acqua bassa, salmastra e poco ossigenata, si depositavano i pesci che si sono fossilizzati e sono arrivati fino a noi. In questo sito abbiamo anche prove di situazioni in cui si alternavano periodi di acqua dolce e di acqua salata, che potrebbero essere riconducibili ipoteticamente alla foce di un fiume dove si sono fossilizzati anche insetti provenienti dalla terraferma. Proprio l’alternanza di queste fasi ha permesso la conservazione, nel corso del tempo, di tipi di animali diversi. «Nei livelli dove abbiamo trovato insetti c’è scarsità di fossili di pesci» - conferma il ricercatore ticinese. 

IL MOSAICO DELL’EVOLUZIONE - La qualità e la varietà dei reperti del Monte San Giorgio stanno permettendo ai ricercatori di porre un importante tassello nel mosaico evolutivo. «Teoricamente si ipotizza - spiega Magnani - che alcuni gruppi di insetti attuali si siano evoluti in quel periodo, ma non si ha effettivamente documentazione fossile. Speriamo che grazie a questi ritrovamenti si possa arrivare a chiarire quando sono comparsi sulla Terra gli antenati di alcuni insetti attuali».
Oltre a molti esemplari completi di diversi tipi di insetti, tra i quali una vespa, i ricercatori potrebbero aver trovato la più antica testimonianza di impollinazione, uno dei cosiddetti servizi ecosistemici più importanti che gli insetti svolgono oggi, assieme alla decomposizione. Infatti, alcuni fossili ritrovati di ditteri, l’ordine di insetti al quale appartengono mosche e zanzare, portano sulla parte apicale dell’addome da 2 a 4 corpi tondeggianti, forse riconducibili a spore. Il paleontologo ticinese con prudenza spiega che «non siamo ancora riusciti a capire se possano essere gli organi riproduttori all’interno dell’insetto o se siano effettivamente delle spore, poste all’esterno dell’addome. In questo caso, sarebbe la più antica documentazione di interazione di impollinazione tra piante e insetti». 

SCAVI E POI IL LABORATORIO - Il Museo concentra le sue attività sul territorio in un mese all’anno, spesso permettendo a studenti universitari e dottorandi di aiutare durante gli scavi, ma il maggior carico di lavoro avviene successivamente con la preparazione, catalogazione, archiviazione e studio dei fossili. «Non serve scavare più frequentemente - commenta Magnani. - Abbiamo già così tanto materiale da preparare che sarebbe sufficiente per due anni di laboratorio, senza poi contare il tempo che va dedicato allo studio e alla pubblicazione sulle riviste scientifiche internazionali». La squadra ticinese conta attualmente solamente tre persone, e la collaborazione con altri enti o persone specializzate è necessaria per sostenere la ricerca sul Monte San Giorgio. 

COLLABORAZIONI INTERNAZIONALI - I fossili attirano attenzioni da tutto il mondo e non è inusuale che i paleontologi, o spesso biologi che si occupano anche di specie contemporanee, viaggino dall’estero fino a Lugano per ispezionare i campioni e cercare di interpretarli. Nel tempo, il gruppo di ricerca del Museo ha saputo tessere fitte collaborazioni con la vicina Università dell’Insubria e l’Università degli Studi di Milano, ma anche con la Federico II di Napoli, il Museo di scienze naturali dell’Alto Adige, l’Università di Zurigo e l’Università di Loma Linda in California. I recenti ritrovamenti di insetti hanno suscitato molto clamore nella comunità scientifica e potrebbero aprire la strada a nuove collaborazioni internazionali per analizzare i ritrovamenti e collocarli all’interno di quanto sappiamo sulla storia della vita sulla Terra. 

UN’AVVENTURA INIZIATA 150 ANNI FA - Scoperti a metà Ottocento durante gli scavi nelle miniere di “scisti bituminosi” usati per produrre gas naturale per illuminare la città di Milano, i reperti fossili del Monte San Giorgio sono stati subito oggetto di grande entusiasmo tra chi si occupava di scienze naturali, in particolare da parte di Emilio Cornalia, paleontologo e direttore del Museo Civico di Storia Naturale di Milano, che ne ha incentivato l’estrazione sul versante italiano. Il lato svizzero del sito, ora tra i due quello di maggiore estensione, dovrà aspettare altri cinquant’anni per essere valorizzato dal paleontologo Bernhard Peyer dell’Università di Zurigo, che aveva notato dei fossili all’interno di materiale estratto per produrre un unguento medicamentoso chiamato “Saurolo”. Ancora oggi, il nome del monte è fortemente legato al capoluogo lombardo e alla città tedescofona, tanto che - scherza Fabio Magnani - «alle conferenze, quando dico di lavorare al Monte San Giorgio, mi chiedono sempre se vengo da Zurigo o da Milano». Gli entusiasmi attuali nei confronti del sito sono però merito di Rudolf Stockar, che nei primi anni Duemila ha saputo dare, su mandato del Museo cantonale di storia naturale, grande slancio alle ricerche e ha mostrato sia ai ricercatori che al pubblico quante ricchezze naturali si celano sul Monte San Giorgio.