Quanto siamo liberi veramente? Dalla scienza poche risposte
di Cesare Alfieri

Nella quasi totalità delle decisioni che prendiamo quotidianamente, da quelle banali alle più dense di grande significato (dallo scegliere se ordinare pizza o pasta al ristorante, al vagliare un’offerta lavorativa o considerare di metter su famiglia), la sensazione di essere artefici del nostro destino è un’ipotesi che raramente l’umano orgoglio si sente di mettere in discussione. Eppure, nella vita di tutti, arrivano momenti in cui il sospetto di essere condotti più che di condurre assume consistenza, e ci si sente trascinati da un destino predeterminato, o in balia del puro caso.
Che il nodo del libero arbitrio non possa essere di così banale scioglimento è emerso durante un ciclo di incontri dall’emblematico titolo di “Fisico Arbitrio”, organizzato nel marzo scorso alla BiblioAgorà del Campus est USI-SUPSI di Viganello dall’’Istituto di studi filosofici (ISFI) della Facoltà di teologia di Lugano, affiliata all’Università della Svizzera italiana. In ognuna delle tre serate, il fisico Cesare Alfieri e un diverso filosofo della scienza (Claudio Calosi, Lorenzo Lorenzetti e Sofia Bonicalzi) hanno dialogato tra loro davanti a una sala gremita, curiosa, alle volte inquieta nello scoprire le pieghe di un problema che non può lasciare indifferenti.
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LA RISPOSTA DELLA FISICA "CLASSICA" - Con Claudio Calosi, professore assistente all’Università Ca’ Foscari di Venezia e primo ospite di Fisico Arbitrio, la discussione si è concentrata sull’inconciliabilità fra libertà e determinismo, il concetto cardine che, assieme al principio di causa-effetto, fonda la fisica classica di Galileo, Newton, Maxwell e tanti altri, ma anche la teoria della relatività di Einstein. Proviamo a spiegare: per la fisica classica e relativistica, così come per la filosofia razionalista di Spinoza (il “filosofo dei fisici”, nonché il preferito di Einstein), tutto nell’Universo sembra muoversi obbedendo a precise leggi di Natura secondo la più ineludibile delle causalità. La comprensione di quelle leggi permette alla fisica di descrivere i fenomeni del Mondo con precisione sbalorditiva. Tuttavia, se tutto si svolgesse secondo dettami fisici rigorosi, l’evoluzione dell’Universo sarebbe determinata e non potrebbe essere libera. Se l’uomo quale entità fisica dovesse sottostare alle stesse regole, sarebbe lecito considerare il suo agire libero? Una freccia scagliata è libera solo di compiere il suo moto obbedendo a precise equazioni del moto, non può fare altro. Questo da un lato ci consola, perché la comprensione di quelle leggi ci consente di capire lo svolgersi delle cose ("scire est scire per causas", cioè sapere significa conoscere attraverso le cause, dicevano i filosofi medievali parafrasando Aristotele), di prevederle e così di dominarle. Come ci sentiremmo se la freccia fosse libera di scegliere la traiettoria che più le aggrada e non quella che la causalità fisica le impone? Probabilmente scioccati e impotenti. Tuttavia, il prezzo da pagare per il rassicurante svolgersi causale delle cose del mondo è alto: se di quel mondo fisico facciamo parte anche noi e se tutte le particelle che ci compongono in ultima istanza obbediscono alle stesse leggi, allora anche il nostro agire è determinato e nient’affatto libero, se definiamo libero ciò che causa senza essere a sua volta causato. In un mondo meccanicistico, attribuirci questo potere - che spetterebbe solo alla divina “causa prima” di aristotelica memoria - suona come immotivato antropocentrismo.
Solo il complicatissimo intrecciarsi di innumerevoli cause che concorrono, e l’incapacità di decifrarle in tempo reale per determinare le nostre azioni future, sarebbe allora alla base della nostra sensazione di libertà. Calosi è arrivato a concludere che, se c’è il determinismo, siamo logicamente vincolati alla catena di concause, meccanicisticamente necessitati e perciò in nessun modo possiamo pensarci liberi.
LO "SHOCK" DELLA MECCANICA QUANTISTICA - Ma è davvero così? Guardando il mondo sempre più da vicino, volendo spingere lo sguardo fin dentro gli atomi, i fisici si sono accorti che i contorni delle cose diventano sfocati, indefiniti. Le particelle subatomiche non parlano la grammatica della fisica classica, bensì quella della meccanica quantistica, che si impone come verità più fondamentale.
A questo punto, durante il secondo incontro di “Fisico Arbitrio”, con il filosofo Lorenzo Lorenzetti, ricercatore all’Università della Svizzera Italiana, il dibattito si è immerso nelle atmosfere quantistiche. È così stato ribadito che l’”indeterminismo”, consacrato nel 1927 dal celebre principio di indeterminazione di Heisenberg, impedisce la simultanea conoscenza esatta di tutte le variabili fisiche necessarie alla determinazione univoca dell’evoluzione di un sistema.
All’inizio del XX secolo, con l’imporsi dei quanti, il determinismo è quindi sfumato: la nuova fisica ci ha obbligato a scegliere fra visioni complementari. Gli oggetti su scala subatomica sono onde o particelle? Le loro traiettorie sono un susseguirsi spezzettato di urti che innescano legami causa-effetto, o posizioni che evolvono continuamente nello spazio e nel tempo? Ha senso dire che le cose esistono quando non interagiscono? Che ruolo ha l’osservatore? Se c’è l’indeterminazione, se le rigide catene del determinismo si spezzano, si apre uno spiraglio alla libertà?
La meccanica quantistica è essenzialmente probabilistica, cioè i risultati di un’osservazione non sono certi: certa è solo la probabilità con cui potrò vedere un risultato piuttosto che un altro. Chi decide allora come si comporterà il mondo? Secondo la lettura più in voga della fisica dei quanti (l’interpretazione di Copenaghen, cioè quella di Bohr, Heisenberg, Pauli e molti altri), lo decide il caso.
Ma allora, se in ultima istanza è tutto casualmente probabilistico, la posizione della nostra libertà è ancora più precaria rispetto al determinismo...
GLI STUDI SUL CERVELLO - Lo scarto fra il determinismo e le teorie probabilistiche è stato colmato durante la serata conclusiva di “Fisico Arbitrio”, in cui a parlare delle implicazioni filosofiche delle neuroscienze è intervenuta Sofia Bonicalzi, professoressa associata all’Università degli Studi Roma Tre.
In parole molto riassuntive, le neuroscienze si propongono di capire il funzionamento del cervello umano attraverso l’analisi dei segnali (raccolti con elettroencefalogrammi o con risonanze magnetiche funzionali) e delle aree di attivazione cerebrali in esperimenti neuroscientifici mirati.
Il filone di esperimenti neuroscientifici focalizzati sul libero arbitrio è ricco, fertile come il dibattito interpretativo che innescano. Fra tutti, il capostipite è il rinomato esperimento del neurofisiologo Benjamin Libet, condotto in California all’inizio degli anni ’80 e ripetuto in varie configurazioni in tutto il mondo. Libet, sfruttando il lavoro pregresso del tedesco Hans Helmut Kornhuber, sa che ogni azione muscolare è preceduta dall’apparizione di un picco elettrico nel segnale dell’elettroencefalogramma, chiamato “potenziale di prontezza”. La domanda che si pone è allora la seguente: il potenziale di prontezza mostra il suo picco prima o dopo che la persona in esame acquisisca consapevolezza che sta per compiere un movimento volontario? Il risultato dell’esperimento è sconcertante e controintuitivo: la persona prende coscienza del movimento che sta per compiere oltre mezzo secondo dopo l’apparire del potenziale di prontezza. Questo significa che il cervello sceglie in autonomia cosa fare, senza che la parte cosciente prenda parte a questa decisione.
Se però il cervello è più fondamentale della coscienza che abbiamo di noi stessi e se dunque la nostra volontà razionale è solo un suo prodotto, come potremmo definire il nostro volere libero? Si potrebbe dire, parafrasando il detto popolare, che al cervel non si comanda?
Il risultato dell’esperimento di Libet, peraltro, non è di così facile interpretazione: l’apparato e il metodo del neurofisiologo statunitense sono, per certi aspetti, criticabili. Persino l’azione che Libet misura (muovere un dito, alzare un polso), non sembra un prototipo di scelta volontaria ragionata o densa di significato morale, come potrebbe essere la decisione sull’intraprendere un percorso di studi piuttosto che un altro, oppure commettere o meno un crimine premeditato.
LE DIFFICILI CONCLUSIONI - Insomma, dopo le tre serate di Fisico Arbitrio le certezze ingenue sulla nostra libertà, quando non spazzate via, hanno certamente vacillato. Non dovrebbe sorprendere: la scienza cerca in ogni sua branca l’esattezza, la riproducibilità, la regolarità e la consistenza. La libertà, la sua imprevedibile follia, male si concilia a tutto questo.
I relatori sono stati però chiari su un punto: la scienza, anche se pone limiti, non potrà mai dimostrare con inattaccabile certezza l’inesistenza di alcunché, nemmeno del libero arbitrio così duramente messo alla prova. La questione è entrata nel novero di quelle che molti definiscono non solo insolute, ma addirittura insolubili. Come spesso accade per i problemi che ci premono di più, la fisica pota, screma e indica infine una strada che solo la metafisica può portare a un impossibile compimento.
Ma in fondo, ci si chiede, davvero le nostre vite cambierebbero di una virgola se avessimo la certezza di essere un po’ liberi o totalmente determinati?