Prescrizione sociale, lezione 3
Enzo Grossi: «Nature Therapy
per ridurre lo stress»

di Valeria Camia
Si intitola Natura e benessere: la biofilia in medicina la terza lezione del corso universitario “Medici e Prescrizione Sociale”, promosso dalla Facoltà di Scienze Biomediche dell’Università della Svizzera italiana, con IBSA Foundation per la ricerca scientifica e la Divisione Cultura della Città di Lugano. Al centro dell’evento (lunedì 27 ottobre nell’Aula Polivalente del Campus Est di via La Santa 1 a Viganello) ci sarà dunque la Nature Therapy, o “terapia con la natura”, un approccio che utilizza l’immersione e l’interazione con gli ambienti naturali per migliorare il benessere fisico, mentale ed emotivo. Non è una moda passeggera: le sue radici affondano in pratiche antiche e oggi trovano legittimazione scientifica grazie a studi clinici e osservazionali. Insomma, parlare di Nature Therapy non significa semplicemente invitare qualcuno a fare due passi all’aperto: «È un’esperienza sensoriale completa che, se vissuta con costanza, aiuta a ridurre lo stress, a ritrovare concentrazione e ad alimentare emozioni positive» - spiega il professor Enzo Grossi, direttore scientifico del Centro neuropsichiatrico Villa Maria di Tavernerio (Como) e coordinatore del corso, nonchè relatore della terza lezione.
La Nature Therapy diventa particolarmente rilevante se la si osserva alla luce di alcuni dati allarmanti. La solitudine, ad esempio: secondo il sondaggio EU Loneliness Survey del 2022, il 13% dei cittadini europei prova un senso di solitudine “la maggior parte del tempo” o “sempre”, mentre oltre un terzo dichiara di essersi ritrovato in questa situazione almeno “qualche volta” nelle ultime quattro settimane. I giovani sono i più colpiti: più di uno su due tra i 18 e i 35 anni ammette di sentirsi moderatamente o fortemente solo. Altro dato che preoccupa riguarda lo stress: in Svizzera, nel 2022, più di un lavoratore su cinque ha riferito di sperimentare stress “di solito” o “sempre” sul posto di lavoro, con punte che toccano il 29% nel settore sanitario e sociale. Parliamo, dunque, di condizioni (solitudine cronica, logorio mentale, stress prolungato) che la farmacoterapia da sola non riesce a risolvere. «In questi casi - osserva Grossi - si apre la possibilità di un percorso diverso, che integri le cure tradizionali con esperienze significative e personalizzate. La Nature Therapy, senza sostituirsi alla medicina, si rivela una risorsa terapeutica concreta e accessibile».
Lo aveva già sottolineato oltre quarant’anni fa il biologo Edward Wilson, che, nel suo volume Biophilia, pubblicato nel 1984, parlava della tendenza umana innata a cercare connessioni con la natura e le altre forme di vita. E infatti il termine “biofilia” è composto dalle parole greche “vita” (bio) e “amore” (filia). Secondo Wilson, questa predisposizione ha radici evolutive profonde: gli esseri umani hanno trascorso il 99% della loro storia in ambienti naturali, mentre le prime città risalgono “solo” a circa cinquemila anni fa. «Quindi la nostra mente si è plasmata in risposta a paesaggi, animali, piante e natura in genere» - sottolinea Grossi.
Sempre negli anni Ottanta, l’architetto Roger Ulrich, con i suoi studi in un ospedale della Pennsylvania (Stati Uniti), dimostrò come la sola vista del verde accelerasse il recupero dei pazienti. Da queste ricerche nacque poi la Stress Recovery Theory, secondo cui il contatto con la natura riduce lo stress e influisce positivamente su parametri fisiologici come la pressione arteriosa e la frequenza cardiaca. Parallelamente, gli psicologi Rachel e Stephen Kaplan iniziarono a sviluppare la Attention Restoration Theory, evidenziando come esperienze ambientali strutturate aiutino a diminuire la tensione e l’affaticamento cognitivo, migliorando umore, concentrazione, attenzione e creatività.
Oggi anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) riconosce la connessione con gli spazi naturali come qualcosa che non è solo piacevole, ma fondamentale per il benessere psicologico e fisiologico. «Nel 2016, con la pubblicazione Urban Green Spaces and Health - ricorda Grossi - l’OMS ha evidenziato l’impatto positivo degli spazi verdi urbani sulla salute. Pochi anni più tardi, nel 2019, è seguito un altro celebre rapporto dell’OMS su arte e salute, che ha suscitato molto interesse a livello globale, ispirando diverse iniziative, tra le quali Cultura e Salute in Ticino». Infine, nel 2021 il rapporto Green and Blue Spaces and Mental Health: New Evidence and Perspectives of Action ha consolidato l’idea che il verde e il blu, dai parchi urbani ai corsi d’acqua, siano elementi chiave per la salute mentale, stimolando tutti i cinque sensi. Come precisa Grossi, «la Nature Therapy comporta un’esperienza multisensoriale»: la vista si attiva con il verde e la varietà del paesaggio, stimolando rilassamento e creatività. L’udito si nutre del fruscio delle foglie e del canto degli uccelli, che raggiungono il cosiddetto “centro della bellezza” del cervello, lo stesso che reagisce alla musica. L’olfatto coglie odori e aromi: alcune conifere, ad esempio, rilasciano fitoncidi, sostanze naturali che hanno effetti benefici sul sistema nervoso. Il tatto entra in gioco accarezzando la corteccia di un albero o camminando a piedi nudi sull’erba. Infine, anche il gusto può essere stimolato: durante una passeggiata capita di assaggiare un corbezzolo o una mela selvatica, completando l’esperienza.
La Nature Therapy rappresenta dunque un ponte tra antiche pratiche, evidenze scientifiche moderne e bisogni sociali contemporanei, spingendo a ripensare i modelli di cura, le città e gli stili di vita. «La sfida - conclude Grossi - è trasformare questa consapevolezza in azioni concrete, con politiche sanitarie e sociali capaci di colmare il divario con i Paesi più avanzati».