Prescrizione sociale, lezione 1
Julia Hotz: «Bisogna ampliare
il concetto di terapia»

di Valeria Camia
Inizia lunedì 6 ottobre la quinta edizione del corso universitario Cultura e Salute, intitolato quest’anno Medici e Prescrizione Sociale e promosso dalla Facoltà di scienze biomediche dell’Università della Svizzera italiana con IBSA Foundation per la ricerca scientifica e la Divisione Cultura della Città di Lugano. La prima lezione (alle ore 18 nell’Aula Polivalente del Campus Est di via La Santa 1) inaugura una serie di sette incontri pubblici che cambiano la prospettiva della cura: dal “cosa non va in noi”, “che cosa ci fa star male”, a “cosa ci fa star bene” (in inglese, con un gioco di parole, si passa dal what is the matter with you al what matters to you). Speaker della serata è Julia Hotz, giornalista e autrice del libro The Connection Cure.
Disuguaglianze sociali crescenti, social media sempre connessi, occupazione precaria, crisi climatica e guerre stanno portando a un preoccupante aumento dei disturbi mentali, in particolare tra i giovani, come avvertono gli esperti sanitari a livello globale. A questo scenario si aggiunge una popolazione che invecchia, spesso sola, con ospedalizzazioni sempre più frequenti e costi sanitari crescenti. Depressione e ansia possono essere oggi affrontate con soluzioni farmacologiche. Si prescrive una pillola, poi un’altra, poi un’altra ancora. E se non funziona, si torna dal medico, con un copione che rischia di ripetersi (spesso si ripete) perché manca un tassello. A non essere adeguatamente considerati sono i fattori sociali, culturali ed economici che incidono sulla salute. «Solo il 20% del nostro benessere dipende dalla cura clinica. Il restante 80% è legato alle condizioni in cui nasciamo, cresciamo, viviamo, lavoriamo e invecchiamo» - sottolinea Hotz.
LA SALUTE "COMPLESSIVA" - Proprio su questa evidenza si basa la prescrizione sociale (social prescribing in inglese), un approccio innovativo alla sanità che indirizza le persone, tramite il sistema sanitario, verso attività o risorse comunitarie non mediche, con l’obiettivo di promuovere il benessere e la salute complessiva. Come testimoniano le storie vere raccontate in The Connection Cure, le attività di social prescribing possono includere corsi d’arte o di canto, ginnastica di gruppo, progetti di giardinaggio o di volontariato. «Rientrano nelle prescrizioni sociali - spiega Hotz - anche indicazioni legate a un’alimentazione sana o alla fornitura di biglietti per i trasporti pubblici. L’obiettivo è offrire alle persone gli strumenti per assumere un ruolo attivo nella propria salute, attraverso la partecipazione ad attività significative per se stessi, e che favoriscano il benessere fisico, mentale e sociale». Non ci sono soluzioni universalmente applicabili: contano gli interessi individuali, le passioni, le esperienze di vita e anche il background culturale. «Ad esempio, mentre il canto corale è un’attività popolare ed efficace nel Regno Unito - precisa Hotz - le iniziative di social prescribing hanno incorporato anche attività come il Qigong e lo yoga su sedia, che si allineano alle pratiche e preferenze locali di altri Paesi. D’altra parte, è proprio questo adattamento culturale a garantire che le attività prescritte siano significative e coinvolgenti per i partecipanti».
NON TUTTI SONO D’ACCORDO - La prescrizione sociale non è esente da critiche. La più ricorrente riguarda la sua natura. Cosa la distingue davvero da un semplice invito a uscire e socializzare? Per l’autrice di The Connection Cure, la differenza sta nella concretezza: «Una prescrizione sociale - continua Hotz - è quasi sempre legata a un’attività specifica: un corso d’arte settimanale, lezioni di bicicletta, un gruppo di cammino. E, soprattutto, viene accompagnata da risorse reali. Nel mio libro racconto la storia di un uomo a cui non sono state prescritte solo lezioni di bicicletta, ma anche la bicicletta stessa, perché non ne aveva una».
Non è tutto. A fare la differenza è anche la responsabilità del medico, che deve monitorare l’andamento di quella prescrizione sociale proprio come farebbe con un farmaco. In molti Paesi, inoltre, i medici non sono soli: collaborano con figure dedicate (in inglese i link worker), che li aiutano sia a orientarsi tra le risorse disponibili sul territorio sia a prescrivere l’attività più adatta. «Il social prescribing - dice Hotz - richiede che i professionisti sanitari trattino questo tipo di terapia con la stessa serietà di un medicinale. Tutto ciò richiede, però, il supporto di enti o gruppi locali che operano all’interno della comunità e devono essere in grado di offrire le attività prescritte. Infine, il social prescribing ha una serie di costi. Soprattutto in Paesi come gli Stati Uniti, dove né la sanità né i farmaci sono gratuiti, senza risorse dedicate per operatori, attività comunitarie e materiali, la prescrizione sociale è difficile da attuare».
UNO SFORZO CONTRO LE DISUGUAGLIANZE - C’è un’ultima questione: quando si chiede al sistema sanitario di farsi carico di problemi strutturali, dalla povertà all’insicurezza alimentare, il social prescribing non rischia di diventare un semplice “cerotto” temporaneo? «Le politiche strutturali sono necessarie, ma richiedono tempo. Nel frattempo, il medico resta l’accesso più immediato. Per questo, il social prescribing - conclude Hotz - offre un supporto rapido e collega le persone alle risorse comunitarie, integrando gli sforzi politici per affrontare le disuguaglianze sociali».
Anche per questo la prescrizione sociale, che si è sviluppata dapprima nel Regno Unito alla fine degli anni ’90, ha guadagnato terreno in tutto il mondo ed esiste in oltre trenta Paesi. Dal Canada agli Stati Uniti, fino all’Australia e Nuova Zelanda passando per i Paesi Bassi, la Germania e diverse altre nazioni europee, si riconosce il valore di connettere i pazienti alle risorse comunitarie come mezzo per migliorare i risultati di salute, soprattutto mentale, riducendo il carico sui servizi sanitari tradizionali.
STUDIO TICINESE - La Svizzera deve ancora abbracciare completamente il social prescribing: esistono iniziative singole, ma senza un quadro nazionale completo che affronta specificamente i determinanti sociali della salute attraverso attività comunitarie. Tra questi “singoli casi’ degno di nota è un progetto pilota ticinese, che verrà presentato al pubblico il 24 novembre in occasione della lezione 7 del corso del Cultura e Salute. Promosso dalla Città di Lugano, IBSA Foundation e l’Istituto di Medicina di Famiglia dell’USI, in collaborazione con LAC edu, questo progetto sperimenta la prescrizione di attività artistiche e culturali a persone anziane e con problemi di salute legati allo stile di vita.