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Mario De Caro: il nostro
libero arbitrio? Non è
così libero (a ben guardare)

Domenica 23 maggio 2021 circa 6 minuti di lettura In deutscher Sprache

di Valeria Camia

Quando freniamo di colpo davanti a un ostacolo, prima ancora di rendercene conto; oppure quando al ristorante ordiniamo una pietanza e non le altre: perché lo facciamo? Davvero ciò che decidiamo di fare è il risultato di una scelta individuale consapevole e volontaria? C’è infatti chi sostiene che le nostre scelte altro non siano che l’effetto di una serie di predisposizioni e condizionamenti su cui non abbiamo controllo… Tra i filosofi, in molti hanno provato a difendere il “nostro” libero arbitrio, da sant’Agostino a san Tommaso, poi Cartesio, Leibniz e Kant, solo per citarne alcuni, fino a quando, negli anni Settanta del secolo scorso, un neurofisiologo e psicologo statunitense, Benjamin Libet, tentò di capire se il libero arbitrio fosse “fisiologicamente” possibile attraverso esperimenti scientifici. In uno di questi, per esempio, a un gruppo di volontari era stato chiesto di piegare un dito quando sentivano l’impulso a farlo; poi queste persone erano state invitate a dire, avvalendosi di un orologio, in quale momento avevano preso la decisione di muovere il dito. Ma l’elettroencefalogramma, effettuato durante l’esperimento, rivelò che il loro cervello esibiva un’attività particolare e riconoscibile già molti millisecondi prima che la decisione diventasse cosciente.
Negli ultimi 45 anni diversi altri esperimenti neuroscientifici sono stati condotti sulla volizione –  cioè su quell’atto volontario mediante il quale noi concepiamo cosa vogliamo raggiungere e come – e oggi sappiamo che compiamo alcune azioni in modo meno cosciente di quanto abbiamo a lungo creduto. Ma siamo per questo privi di libero arbitrio? Ne abbiamo parlato con Mario De Caro, professore di filosofia morale presso l’Università di Roma Tre, visiting professor alla Tufts University e protagonista della terza videoconferenza sul linguaggio, pubblicata sul sito del LAC (Lugano Arte Cultura) nell’ambito del progetto Lingua Madre, in collaborazione con Ticino Scienza.

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Professor De Caro, le neuroscienze hanno messo in relazione l’attività neuronale umana con il pensiero e il comportamento. In questa prospettiva, secondo cui le decisioni dipendono dalla struttura funzionale del cervello in un determinato momento, è ancora possibile fare uso del concetto di libero arbitrio?
«L’argomento delle neuroscienze - risponde De Caro - è interessante e importante, soprattutto per i risvolti che ha sul concetto di coscienza (e cioè su come “avvertiamo” il mondo), ma rispetto all’assenza del libero arbitrio è insoddisfacente. Per cominciare, nei test neuroscientifici le persone non sono messe in condizione di compiere scelte in situazioni di incertezza (situazioni che richiedono la gerarchizzazione di preferenze): si chiede loro soltanto di schiacciare un tasto o un altro! Provare l’esistenza del libero arbitrio, invece, richiederebbe il confronto con decisioni moralmente complesse e razionalmente complicate. Inoltre, mentre i neuroscienziati identificano il momento della scelta con il momento in cui si avvertire l’impulso di fare qualche cosa, è bene ricordare che avvertire l’impulso di fare una cosa non è condizione né sufficiente né necessaria di una decisione libera: quando prendiamo la decisione di parlare, ciò può avvenire anche senza avvertirne l’impulso, mentre avvertire l’impulso di starnutire non è una decisione libera».

Possiamo quindi affermare che la libertà di arbitrio è come una sorta di “spazio di manovra” in un universo già determinato?
«Direi di sì. Quanto poi sia cosciente e razionale il modo in cui decidiamo, questa è un’altra questione, oggetto tuttora di discussioni e studi. Secondo le più recenti ricerche nel campo delle scienze cognitive, la libertà di arbitrio avrebbe poco a che fare con le nostre azioni, e noi arriveremmo a decidere in base a fattori che non conosciamo, legati all’istinto o all’abitudine, per poi inventare a posteriori una motivazione, che dia conto di quello che abbiamo fatto come se l’avessimo controllato coscientemente. Proprio su questo assunto - il fatto che le nostre scelte sono (o possono essere) influenzate - si basa la pubblicità. È noto, ad esempio, che nei supermercati i prodotti più venduti sono quelli posizionati sugli scaffali centrali. La gente che fa la spesa è spesso di fretta e acquista, semplicemente, quello che trova a portata di mano. Io credo, però, che a noi sia dato di esercitare il libero arbitrio, inteso come capacità di scegliere e possibilità di scelta, attraverso decisioni ben meditate». 

Difendersi dai condizionamenti esterni, come quelli pubblicitari e di marketing, ma anche in campo politico ed economico, diffidare di falsi esperti e smascherare demagoghi, non è sempre facile…
«Per l’esercizio del libero arbitrio, la riflessione e l’istruzione svolgono un ruolo fondamentale. Anzitutto, quando noi sappiamo che dobbiamo prendere una decisione rilevante (penso al trasferimento da un Paese a un altro, oppure al cambiamento di lavoro, e così via) è bene fermarsi e ponderare alternative e conseguenze, senza lasciare che sia il nostro inconscio cognitivo (cioè i nostri stati emozionali) a determinare le scelte. E, poi, lo studio e l’istruzione ci aiutano certamente a discriminare, a riflettere, a pensare criticamente, anche in termini di probabilità. Ripeto, le decisioni migliori si prendono valutando “i pro" e “i contro” per la nostra vita e la morale, ma per fare ciò è necessario avere degli strumenti critici che ci permettono, tra l’altro, di uscire dal rischio – così reale oggi giorno – di cadere nell’isolamento cognitivo, richiudendoci, ad esempio, nelle bolle cognitive dei social media, che ci propongono scelte precostituite e in modo acritico». 

Rimane il fatto che siamo molto più vicini alle macchine di quanto pensiamo…
«Se ci riferiamo alla distinzione attuale, è ovvio che siamo diversi. Le macchine non hanno ancora l’intelligenza complessiva propria dell’essere umano, anche se possiedono elementi di creatività (mi riferisco per  esempio ai programmi per giocare a scacchi). Le cose però potrebbero cambiare e, comunque, già oggi noi siamo più simili alle macchine di quanto ci piacerebbe credere, perché le nostre decisioni libere sono molto meno di quelle che ci piacerebbe ritenere e, semplificando un po’, spesso scegliamo tra opzioni in modo automatico, come se ci fosse un programma nella nostra testa che ci fa decidere in un certo modo».