neuroscienze

Cyberbullismo: più ricerche
per capire cosa avviene nel cervello di vittime e aggressori

Lunedì 25 aprile 2022 circa 5 minuti di lettura In deutscher Sprache

Gli esperti lanciano l’allerta: servono nuovi studi di neurobiologia. In prima linea  la ricercatrice di neuroscienze sociali Rosalba Morese (USI). Alla fine di maggio a Lugano anche un convegno organizzato da ASPI
di Monica Piccini

Il cyberbullismo è il rischio maggiore che si può correre online: è quel che pensa il 40% delle ragazze secondo i dati dell’Osservatorio Indifesa. In risposta a questi numeri, occorrono più ricerche neuroscientifiche per proteggere gli adolescenti e individuare al più presto strategie di prevenzione e intervento. L’appello parte anche da Lugano, dove l’esperta di neuroscienze sociali Rosalba Morese, ricercatrice all’Università della Svizzera italiana (USI), ha raccolto gli ultimi studi sulla “vittimizzazione tra pari” in età scolastica insieme ai colleghi Claudio Longobardi dell’Università di Torino e Robert Thornberg dell’Università svedese di Linköping. Il contributo di oltre 60 ricercatori con background diversi, dal Nuovo Messico alla Cina, è poi stato pubblicato in un numero speciale di Frontiers in Psychology,diventato anche un ebook dal titolo “Cyberbullying and Mental Health: An Interdisciplinary Perspective”.

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«Sebbene la ricerca scientifica abbia identificato il cyberbullismo come un fattore di rischio per la salute mentale degli adolescenti (dall’isolamento alla depressione fino ai casi estremi di suicidio), poco si sa sui possibili meccanismi neurofisiologici coinvolti», sintetizza Morese, che lavora per la Facoltà di Comunicazione, Cultura e Società dell’USI. «L’approccio interdisciplinare tra la nuova branca delle neuroscienze sociali (che ci permette di capire cosa accade nel nostro cervello in riferimento ai diversi comportamenti sociali) e la psicologia può aiutarci a capire quali sono i fattori e processi coinvolti in offese e provocazioni online, sia come vittima che come aggressore». I ricercatori sottolineano anche l’importanza delle tecniche di imaging cerebrale (risonanza magnetica e altre) per comprendere meglio l’impatto del cyberbullismo sulla salute mentale.

In riferimento al distanziamento sociale da Covid-19 degli ultimi due anni, «alcuni autori presenti nel numero speciale dell’ebook - continua Morese - hanno preso in esame l’associazione tra cyberbullismo e isolamento, evidenziando una conoscenza consolidata per chi si occupa di neuroscienze sociali: quando ci sentiamo esclusi si attivano circuiti cerebrali legati al dolore fisico, come quello provato quando ci si ferisce, taglia o brucia». Il disagio di chi è coinvolto in episodi di cyberbullismo, quindi, non è qualcosa di astratto, bensì corrisponde a uno specifico substrato neurofisiologico. «Non solo: quando siamo connessi socialmente con gli altri e ci sentiamo appartenere al nostro gruppo di riferimento, bisogno fondamentale nell’adolescenza, nel cervello si attivano circuiti cerebrali legati al piacere. Al contrario quindi, nel caso di un adolescente vittima di bullismo, la forma più diffusa di bullismo relazionale è l’esclusione sociale».

Nel 2019, con un gruppo di ricercatori dell’Università di Vienna, la professoressa Morese ha studiato l’esclusione sociale con un esperimento che ha coinvolto un campione di 100 ragazze: gli studi dicono infatti che c’è una differenza di genere rispetto agli stimoli sociali e che le donne sono più sensibili. Queste giovani sono state coinvolte in un gioco virtuale molto conosciuto nell’ambito delle neuroscienze, chiamato Cyberball, mentre la loro attività cerebrale veniva monitorata con l’esame di risonanza magnetica funzionale, una tecnica non invasiva di brain imaging. Alle partecipanti è stato chiesto di usare il joystick per prendere una palla e rilanciarla ad altri due giocatori virtuali che comparivano in un visore. Un gioco semplicissimo, in cui ci si passa la palla fino a quando senza motivo i giocatori virtuali smettono di lanciarla alla “giocatrice” in esame, escludendola di fatto dal gioco. «Basta un’esclusione dopo solo 8 passaggi di palla per innescare lattivazione di aree del cervello normalmente attive durante il dolore fisico», spiega l’esperta. Nel fare un passo in avanti, i ricercatori svizzero-austriaci si sono poi domandati cosa si potesse fare per alleviare questo dolore sociale, quale fosse un aiuto scientificamente valido. La risposta è stata: il supporto sociale.

«Ci siamo concentrati su due diversi tipi di supporto da parte di un’amica: supporto fisico, tramite un tocco gentile, e supporto di valutazione, tramite l’invio di messaggi di testo come se fosse sullo smartphone - racconta Morese. - Dopo aver fatto giocare le ragazze al Cyberball per qualche minuto, nel primo caso abbiamo fatto entrare nella stanza della risonanza magnetica un’amica di ciascuna giocatrice, che per 3 minuti le ha stretto la mano prima che tornasse a giocare virtualmente. Nel secondo caso, invece, il gruppo di giocatrici per consolarsi ha letto i messaggi inviati da un’amica esterna alla stanza». Dai risultati è emerso che «il contatto fisico diminuisce il dolore che deriva dall’esclusione sociale (l’attivazione delle aree cerebrali coinvolte diminuiscono), mentre leggere i messaggi amplifica il dolore dell’esclusione, perché nel momento in cui le giocatrici hanno letto, hanno anche capito perché erano state escluse. E quando sono tornate a giocare al Cyberball, nel loro cervello è aumentata l’attivazione delle aree cerebrali corrispondenti all’emozione della tristezza, ma anche quelle che solitamente si riscontrano nella depressione». La maggior parte di noi non ha bisogno di una scansione del cervello per sapere che il contatto fisico allevia il dolore di un rifiuto, ma adesso ci sono le prove scientifiche che lo dimostrano.

CONVEGNO ALLA FINE DI MAGGIO - I temi, complessi, legati al cyberbullismo verranno discussi, sempre a Lugano (Palazzo dei congressi), anche durante il convegno Prima che accada!, organizzato dal 23 al 25 maggio dall’ASPI (Fondazione della Svizzera Italiana per l’Aiuto, il Sostegno e la Protezione dell’Infanzia).