Locarno

Continua la caccia dell’IRSOL
ai segreti del Sole con piccoli razzi sonda e i satelliti dell’ESA

Martedì 3 giugno 2025 ca. 10 min. di lettura
Anche la NASA utilizza satelliti "specializzati" per studiare la superficie del sole. In questa immagine (© NASA), la nostra stella osservata nell’ultravioletto dal satellite SDO (Solar Dynamics Observatory)
Anche la NASA utilizza satelliti "specializzati" per studiare la superficie del sole. In questa immagine (© NASA), la nostra stella osservata nell’ultravioletto dal satellite SDO (Solar Dynamics Observatory)

L’Istituto ricerche solari Aldo e Cele Daccò, affiliato alla Facoltà di informatica USI, è impegnato nello studio di nuovi metodi per misurare i campi magnetici della nostra stella, sfruttando la polarizzazione
di Benedetta Bianco

Da piccoli razzi-sonda, che in lanci di 5 minuti arrivano a 300 chilometri di quota per misurare il campo magnetico del Sole, a satelliti veri e propri in orbita attorno alla nostra stella a distanze incredibilmente ravvicinate, che cercano di dare risposta alle tante domande ancora aperte: sono questi alcuni degli ultimi progetti internazionali a cui stanno lavorando gli esperti dell’IRSOL, l’Istituto ricerche solari Aldo e Cele Daccò di Locarno affiliato alla Facoltà di scienze informatiche dell’Università̀ della Svizzera italiana (USI), che svolge importanti studi nel campo della fisica solare sotto la guida della direttrice Svetlana Berdyugina. Perché il Sole, dopo decenni di missioni spaziali e dati raccolti, deve ancora svelare molti dei suoi segreti, essenziali ad esempio per previsioni sempre più accurate del meteo spaziale, che riguarda la Terra molto da vicino con fenomeni come le tempeste geomagnetiche. Uno dei principali misteri irrisolti è quello della temperatura dello strato più esterno dell’atmosfera solare: mentre sulla superficie la temperatura si aggira intorno ai 5.000 gradi, la corona solare, la zona più esterna, supera il milione di gradi. Sembra un paradosso: invece di diventare più fredda man mano che ci si allontana, l’atmosfera diventa invece sempre più calda.

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«Quello che ormai appare chiaro è che l’energia necessaria per riscaldare la corona arriva da quella immagazzinata nel campo magnetico del Sole, ma non abbiamo ancora capito come ciò accada, attraverso quali processi questa energia venga trasformata in temperatura» - dice a Ticino Scienza Luca Belluzzi, capogruppo scientifico all’IRSOL che ha già preso parte a tre esperimenti guidati dalla NASA con razzi-sonda, avvenuti nel 2015, 2019 e nel 2021, che hanno visto la partecipazione anche del Giappone e di diversi istituti europei. «Il nostro grande problema è che non siamo ancora in grado di misurare con precisione il campo magnetico in queste regioni più esterne – prosegue Belluzzi – a differenza della superficie solare, per la quale ci sono invece tecniche ben consolidate. Una delle principali attività che svolgiamo all’IRSOL, quindi, è sviluppare nuovi metodi per misurare i campi magnetici in queste regioni, e i razzi-sonda servono proprio a questo». Ora un altro di questi esperimenti è in fase di valutazione e potrebbe vedere il lancio nel giro di qualche anno, con la speranza di essere ancora in tempo per la fase di massima attività del ciclo di 11 anni, che la nostra stella ha raggiunto ora.

«Questi esperimenti sono pensati per testare delle idee: organizzare il lancio di un satellite o di una sonda che andrà ad avvicinarsi al Sole è estremamente costoso, e quindi questi finanziamenti vengono utilizzati per studi ben consolidati - spiega il ricercatore dell’IRSOL. - Quando, invece, ci sono ipotesi nuove da esplorare, si usano i razzi-sonda, meno costosi e più rapidi da sviluppare. Il razzo sale in pochi secondi, esce dall’atmosfera e raggiunge la quota di circa 300 chilometri: per avere un punto di riferimento, la Stazione Spaziale Internazionale orbita a circa 400 chilometri dalla Terra». Arrivare a questa altitudine è necessario perché, dal momento che le misurazioni da effettuare riguardano la radiazione UV, bisogna uscire dall’atmosfera terrestre che blocca questa radiazione.

Nei pochi minuti a disposizione, il razzo-sonda effettua una misurazione lungo una sottilissima "fettina" di Sole, in genere in regioni che mostrano una certa attività. «Questo perché sappiamo che l’attività di queste regioni è strettamente legata al campo magnetico - afferma Belluzzi. - Altra cosa importantissima, per effettuare queste misurazioni dobbiamo sfruttare una particolare proprietà della luce, la polarizzazione». In un’onda elettromagnetica, com’è appunto la luce, il campo elettrico può oscillare in molti modi diversi e se lo fa con determinate caratteristiche la luce risulta "polarizzata". I nostri occhi non possono percepire questo fenomeno, che però gioca un ruolo fondamentale in molti campi, ad esempio negli schermi a cristalli liquidi e nella diagnostica in ambito medico. La polarizzazione è importante perché «il campo magnetico solare vi lascia la sua impronta – aggiunge Belluzzi – ed è per questo che siamo tanto interessati a misurare questa caratteristica”. 

L’IRSOL lo fa anche da terra nella banda della luce visibile, grazie ad uno strumento all’avanguardia e molto preciso chiamato ZIMPOL (Zurich Imaging Polarimeter). I razzi-sonda, invece, cercano di fare lo stesso lavoro nella luce UV. Le immagini ottenute con questi strumenti si sono rivelate incredibilmente e inaspettatamente stabili: «Siamo rimasti sbalorditi dalla stabilità dell’immagine - commenta Belluzzi. - inizialmente dubitavamo che questi razzi riuscissero ad ottenere una risoluzione sufficientemente elevata... Il bello è che non abbiamo idea di come ci riescano, perché questa parte dello strumento è segreto militare statunitense». L’esperimento dura in tutto circa 5 minuti, dopodiché lo strumento inizia la sua discesa verso la Terra con l’ausilio di un paracadute, «e viene infine recuperato a pochi chilometri di distanza dal punto di lancio – sottolinea Belluzzi – con il suo preziosissimo carico di dati».

MISURAZIONI MOLTO PRECISE - Grazie ai test effettuati finora, è stato possibile misurare il campo magnetico della nostra stella a quattro diverse quote nell’atmosfera solare: nella fotosfera, il primo strato visibile dal quale l’energia è libera di propagarsi nello spazio, sede di fenomeni come le macchie solari e i brillamenti, e in tre diversi punti della cromosfera, la sottile fascia dell’atmosfera al di sopra della fotosfera spessa circa 2.000 chilometri. In corrispondenza delle regioni maggiormente attive, i campi magnetici più intensi si trovano negli strati più profondi, e si indeboliscono man mano che si sale di quota. Non appena si esce da queste zone, invece, i campi magnetici diventano nettamente meno forti. «Il campo magnetico terrestre è inferiore a 1 gauss (l’unità di misura, appunto, dei campi magnetici). Sul Sole, invece, abbiamo campi di circa 100 gauss nelle regioni tranquille e possiamo arrivare fino a 2.000-3.000 gauss in quelle più attive - dice Belluzzi. - Per fare un confronto, gli apparecchi per la risonanza magnetica hanno una potenza media di circa 15.000 gauss».

IL SATELLITE SOLAR ORBITER - Osserva il Sole in tutt’altro modo il Solar Orbiter, satellite dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA) lanciato a febbraio 2020, con cui IRSOL collabora. Solar Orbiter è un complesso laboratorio spaziale che ha il compito di misurare, oltre al campo magnetico, anche caratteristiche come il plasma, le onde e le particelle energetiche del vento solare. In alcuni punti della sua orbita, fortemente ellittica, può avvicinarsi fino a 42 milioni di chilometri, circa un terzo della distanza Terra-Sole, ed è dotato di uno scudo termico costantemente orientato in direzione dell’astro, in modo da riparare la sonda dalle forti radiazioni: le parti esposte, infatti, devono sopportare temperature superiori ai 500 gradi, mentre quelle in ombra rimangono a −180 gradi. A bordo è presente anche uno spettrometro a raggi X (STIX), di fabbricazione svizzera, che analizza i raggi X per fornire informazioni fondamentali sugli elettroni accelerati e i plasmi ad alte temperature, per lo più associati ai brillamenti. 

«I raggi X sono considerati un po’ come la "pistola fumante" dei brillamenti  - racconta Andrea Battaglia, postdoc all’IRSOL. - I brillamenti solari, violente eruzioni di materia che sprigionano l’equivalente dell’energia di varie decine di milioni di bombe atomiche, sono ormai entrati a far parte del nostro lessico quotidiano, poiché sono spesso all’origine delle tempeste geomagnetiche che minacciano la Terra. Quando sono associati alle espulsioni di massa coronale, dette CME, cioè espulsioni di materia sotto forma di plasma, le particelle trasportate dal vento solare possono arrivare a disturbare la magnetosfera del nostro pianeta, producendo lo spettacolo delle aurore visibili a latitudini più basse del solito, ma causando anche problemi come blackout radio, interruzioni dei segnali Gps e modifiche alla traiettoria dei satelliti in orbita terrestre».
La più intensa tempesta geomagnetica degli ultimi 20 anni, che ha raggiunto la classe G5 (la più alta), ha colpito la Terra a maggio 2024, e altre di classe immediatamente inferiore sono avvenute nei mesi successivi, a conferma del fatto che è stato raggiunto il picco del ciclo solare. 

TEMPI PROLUNGATI - La missione del satellite ESA dovrebbe durare 7 anni, quindi fino al 2027, ma si sta già valutando se prolungarla. «Un’estensione della missione sarebbe molto importante – aggiunge Battaglia – perché Solar Orbiter non solo può avvicinarsi molto al Sole, ma aumenta anche man mano l’inclinazione della sua orbita rispetto all’equatore, sfruttando i passaggi ravvicinati con Venere come fionde gravitazionali per modificare la sua orbita: quindi, se la missione viene prolungata, raggiungerà un’inclinazione abbastanza elevata da poter osservare anche i poli solari, ottenendo un risultato che non era mai stato possibile raggiungere finora». La prima di queste manovre è avvenuta lo scorso febbraio, quando il satellite è arrivato alla distanza record da Venere di soli 379 chilometri, e la prossima è programmata per dicembre 2026. Poter osservare le regioni polari della stella è cruciale, ad esempio, per comprendere meglio i meccanismi alla base del meteo spaziale e i suoi possibili effetti sulla Terra.

LA SONDA DELLA NASA - Solar Orbiter non è solo nel suo viaggio intorno al Sole: ad accompagnarlo c’è anche la Parker Solar Probe, la sonda della NASA lanciata nel 2018 con l’obiettivo di studiare la parte esterna della corona solare: nel dicembre dello scorso anno ha effettuato un "tuffo" record, arrivando ad appena 6,1 milioni di chilometri dalla superficie e sopravvivendo a temperature stimate di 980 gradi. «La differenza più importante - dice Battaglia - è che nessuno degli strumenti della Parker Solar Probe guarda direttamente la nostra stella, proprio perché la sonda si avvicina fino a distanze incredibili. Con Solar Orbiter si è invece deciso per un compromesso: i suoi strumenti possono guardare il Sole, sacrificando però un po’ la vicinanza che è possibile raggiungere. Io ho avuto l’onore di iniziare il mio dottorato quando il satellite è stato lanciato – aggiunge Battaglia – quindi ho potuto seguire questo esperimento così ambizioso fin dalle prime fasi».

Il satellite ha già prodotto spettacolari immagini e video che mostrano l’incandescente atmosfera solare con incredibile dettaglio, e i dati raccolti insieme alla sonda Parker hanno permesso finalmente di capire che l’energia necessaria per riscaldare e accelerare il vento solare proviene da grandi fluttuazioni del campo magnetico: la conferma è stata pubblicata ad agosto 2024 sulla rivista Science. «Spesso, inoltre, le attività del Solar Orbiter vengono coordinate con gli osservatori sulla Terra -  aggiunge Andrea Battaglia. - Ogni 6 mesi vengono selezionati alcuni settori di ricerca, come ad esempio lo studio dei brillamenti o quello dei campi magnetici, e si procede con campagne osservative che forniscono le coordinate agli osservatori terrestri, in modo da effettuare osservazioni congiunte”» L’obiettivo è, ancora una volta, fare pian piano luce su tutti i meccanismi che governano il comportamento della nostra stella, e capire come questo possa influenzare la vita sul nostro pianeta.