Caccia ai microrganismi
che dagli animali possono
infettare gli esseri umani

Intervista a Eva Veronesi (Istituto Microbiologia SUPSI). Occhi puntati su possibili patologie trasmesse da zanzare e zecche. "Radar" anche sui moscerini Culicoidi, veicoli della malattia della lingua blu nelle pecoredi Valeria Camia
Le minacce sanitarie non arrivano sempre con clamore: a volte si nascondono nel volo silenzioso di un insetto o nel corpo di un animale selvatico. La diffusione del Coronavirus ci ha mostrato come anticipare le pandemie, possibilmente prevenirle, sia cruciale. Non solo nei laboratori, ma sul campo, nei boschi, nelle stalle, nei corsi d’acqua, ricerca e monitoraggio lavorano insieme, anche in Svizzera per anticipare l’arrivo o la diffusione di patogeni.
Nel nostro Cantone, all’Istituto Microbiologia (IM) della SUPSI si raccolgono campioni, si analizzano insetti, si monitorano animali e si collabora a stretto contatto con laboratori e servizi sanitari. «Le malattie globali viaggiano con le persone, gli animali, gli insetti. Per questo il nostro lavoro sul territorio è fondamentale: intercettiamo i segnali prima che diventino emergenze» - spiega Eva Veronesi, ricercatrice senior dell’IM ed entomologa di formazione. Dopo esperienze di ricerca in Italia e nel Regno Unito, dove ha studiato le zanzare e le malattie esotiche in ambito veterinario, Veronesi ha proseguito all’Università di Zurigo, coordinando un gruppo dedicato allo studio di infezioni, dalla febbre Zika alla dengue, dovute alle punture di insetti. Oggi, presso l’IM della SUPSI, Veronesi lavora nel settore della biosicurezza e continua a occuparsi della prevenzione e contenimento di epidemie causate da zanzare — la febbre del Nilo occidentale (West Nile virus), per esempio, è stata rilevata anche in Ticino — e poi studia i Culicoidi, i moscerini tristemente famosi per essere responsabili della trasmissione della malattia della lingua blu (bluetongue virus) negli ovini.
Eva Veronesi Ingrandisci la foto
L’approccio dell’Istituto, spiega Veronesi, è duplice: da un lato risponde a mandati ufficiali di monitoraggio e controllo delle epidemie; dall’altro porta avanti attività di ricerca per anticipare i fenomeni. Si tratta di ambiti complementari, la cui importanza è emersa con forza durante la pandemia di Coronavirus. «Il virus SARS-CoV-2 — ricorda la ricercatrice — ha avuto un doppio impatto: da un lato ha rallentato la ricerca a causa della riallocazione dei fondi, dall’altro lato ha messo in luce la centralità della sorveglianza virologica e dell’interconnessione tra ambiente, animali e salute umana». In questa chiave l’attività dell’Istituto di Microbiologia si inserisce anche nell’ambito di One Health, l’approccio promosso a livello nazionale dall’Ufficio federale della sicurezza alimentare e di veterinaria (USAV), che integra in modo strutturato tre ambiti strettamente connessi: ambiente, salute pubblica e salute veterinaria. L’Istituto, infatti, partecipa a gruppi di lavoro, offre consulenze scientifiche e contribuisce a definire le priorità per le attività di sorveglianza, tenendo conto anche delle ricadute indirette delle epidemie (economiche, sociali e psicologiche).
Sul fronte della salute pubblica cantonale, l’Istituto di Microbiologia collabora con il Servizio Trasfusionale Svizzero (CRS) e con l’Istituto di Ricerca in Biomedicina (IRB). Con il CRS, ad esempio, conduce indagini sierologiche sulla popolazione per rilevare la presenza di anticorpi contro virus come la dengue o il West Nile; con l’IRB contribuisce allo sviluppo di tecnologie diagnostiche. «Da parte nostra - spiega Veronesi - operiamo direttamente sul campo: raccogliamo i vettori, eseguiamo screening per verificare la presenza di virus o altri parassiti. È il caso della febbre del Nilo occidentale, per la quale è attivo un sistema di sorveglianza durante tutta la stagione estiva. Ogni due settimane vengono analizzate le operazioni di cattura effettuate tramite numerose trappole distribuite in punti strategici del territorio ticinese: le zanzare raccolte vengono esaminate per verificare la presenza del virus e, in caso di positività, scatta immediatamente l’allerta ai servizi veterinari e al medico cantonale per coordinare le azioni successive».
Tra i vari progetti attivi in Ticino seguiti da Eva Veronesi ce n’è anche uno dedicato alla salute alimentare, finanziato dal Fondo nazionale svizzero per la ricerca scientifica (FNS): prevede screening su terreni e prodotti coltivati nella Piana di Magadino, per individuare batteri capaci di produrre tossine nocive per l’essere umano. L’obiettivo è comprendere anche le modalità di diffusione ambientale di questi microrganismi, così da rafforzare le misure di prevenzione e garantire una maggiore sicurezza lungo l’intera filiera agroalimentare.
TRAPPOLE “INTELLIGENTI” - La ricerca guarda anche al futuro, e oltre i confini svizzeri. Proprio sulle zanzare, Veronesi coordina un’unità di lavoro del progetto europeo E4Warning, che si occupa di fornire relazioni strategiche e supporto tecnico a responsabili politici, istituzioni governative e accademiche nell’affrontare epidemie da vettori. Tra queste, l’implementazione di trappole “intelligenti” dotate di sensori in grado di riconoscere in tempo reale la specie di zanzara, il sesso e di inviare i dati via cloud; c’è poi lo studio sulla dispersione delle zanzare: «Studiando i movimenti delle zanzare, marcandole e monitorandole - continua Veronesi - l’obiettivo è comprendere meglio come si muovono sul territorio e valutare il rischio di trasmissione del West Nile virus». I finanziamenti della Commissione Europea e le collaborazioni con l’estero, come quelle transfrontaliere con l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia ed Emilia-Romagna (IZSLER) in Italia, contribuiscono a creare una rete di scambio e monitoraggio internazionale, che si affianca ai progetti portati avanti da Veronesi.
LA LINGUA BLU - Attualmente, però, molta attenzione è rivolta alla lingua blu, una malattia causata da un virus trasmesso tramite la puntura di moscerini del genere Culicoides, come dicevamo, potenzialmente letale per ovini e bovini. Il Canton Ticino è stato colpito solo recentemente, ma grazie a un’estesa campagna vaccinale, in particolare nel Sottoceneri, la situazione è sotto controllo. «Uno dei prossimi obiettivi della nostra ricerca è comprendere come la temperatura influenzi la diffusione dei vettori - spiega Veronesi. - Da ottobre partirà un nuovo progetto, in collaborazione con l’Ufficio federale per la sicurezza alimentare e veterinaria. Studieremo la sopravvivenza invernale di questi insetti all’interno delle stalle, dove le temperature restano più elevate. Per la bluetongue (la lingua blu) oggi esiste una rete ben strutturata di monitoraggio sugli animali, coordinata dall’ USAV, con l’Istituto di Virologia e Immunologia dell’Università di Berna.
«Ma per affrontare in modo davvero efficace i rischi epidemici, è fondamentale estendere lo sguardo anche agli insetti vettori, e al clima che li influenza» - aggiunge Veronesi. L’auspicio, sottolinea la ricercatrice, è quello di arrivare a un piano di sorveglianza nazionale attiva sui vettori, che permetterebbe inoltre di individuare il potenziale ingresso di altri virus trasmessi dai Culicoidi, che possono avere un impatto non solo in ambito veterinario ma anche pubblico. Questo soprattutto considerando la posizione geografica della Svizzera, che confina con Paesi dove è stata confermata la circolazione di altri patogeni come, ad esempio, la malattia emorragica epizootica (EHDV).
SOTTO OSSERVAZIONE LA FAUNA SELVATICA - Spesso, infatti, ci si concentra su ciò che si conosce meglio: nel caso delle zanzare, ad esempio, si analizza quale specie trasmette quali virus, si monitora la presenza dei vettori sul territorio e il loro stato di infezione, si informa la popolazione sulle misure di contenimento dei vettori, si supervisionano le operazioni di controllo. Tuttavia, è necessario ampliare l’attenzione anche ad altri ambiti, come la fauna selvatica, soprattutto in un contesto segnato da profondi cambiamenti climatici. In particolare, «non è solo l’aumento delle temperature a preoccupare, ma sono determinanti anche le trasformazioni ambientali causate dall’intervento umano - sottolinea ancora Veronesi. - Modificare un habitat può alterarne l’equilibrio e aprire la strada a nuove dinamiche, come per esempio favorire un contatto sempre più stretto tra animali domestici e selvatici, o tra esseri umani e animali selvatici, che potrebbe favorire la diffusione di patogeni veicolati dalla fauna selvatica e viceversa».
In particolare, proprio il monitoraggio degli animali selvatici può fornire informazioni fondamentali per capire se c’è la presenza di particolari microrganismi (batteri, virus, funghi e parassiti) sul territorio e per valutare quelli che potrebbero essere i rischi in termini di salute pubblica. «Stiamo affrontando questo ambito - dice Veronesi - e ne valutiamo la possibile implementazione in futuro. Una sorveglianza territoriale sarebbe fondamentale - ribadisce la ricercatrice - perché gli animali selvatici possono agire come vere e proprie sentinelle epidemiologiche, offrendo informazioni preziose sulla circolazione e diffusione dei patogeni». Un lavoro, insomma, che si inserisce pienamente nella visione di One Health: un approccio integrato che mette in relazione la salute umana, quella animale e la tutela dell’ambiente.